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Pasquino la statua parlante

Ultimo Aggiornamento: 01/02/2012 10:56
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Pasquino è la più celebre statua parlante di Roma, divenuta figura caratteristica della città fra il XVI ed il XIX secolo.

Ai piedi della statua, ma più spesso al collo, si appendevano nella notte fogli contenenti satire in versi, dirette a pungere anonimamente i personaggi pubblici più importanti. Erano le cosiddette "pasquinate", dalle quali emergeva, non senza un certo spirito di sfida, il malumore popolare nei confronti del potere e l'avversione alla corruzione ed all'arroganza dei suoi rappresentanti.

La statua è in realtà un frammento di un'opera in stile ellenistico, risalente probabilmente al III secolo a.C., danneggiata nel volto e mutilata degli arti, rappresentante forse un guerriero greco. Si è anche sostenuto che si tratti del frammento di un gruppo dello scultore Antigonos raffigurante Menelao che sorregge il corpo di Patroclo morente, del quale esiste una copia in marmo conservata nella Loggia dei Lanzi a Firenze, ma l'attribuzione è contestata. Precedenti attribuzioni ritenevano che raffigurasse Aiace con il corpo di Achille oppure Ercole in lotta con i Centauri.

L'origine del nome è avvolta nella leggenda, di cui esistono diverse versioni. Secondo alcuni Pasquino sarebbe stato un personaggio del rione noto per i suoi versi satirici: forse un barbiere, un fabbro, un sarto o un calzolaio. Secondo Teofilo Folengo mastro Pasquino sarebbe stato un ristoratore che conduceva il suo esercizio nella piazzetta. Un'ipotesi recente sostiene invece che fosse il nome di un docente di grammatica latina di una vicina scuola, i cui studenti vi avrebbero notato delle rassomiglianze fisiche: sarebbero stati questi a lasciare per goliardia i primi fogli satirici. Vi è anche un'altra versione che vorrebbe collegare il nome della statua a quello del protagonista di una novella del Boccaccio (Decamerone, IV, 7) morto per avvelenamento da salvia, erba nota invece per le sue qualità sanifiche: il nome quindi sarebbe stato ad indicare chi viene danneggiato dalle cose che si spacciano per buone (come poteva essere, in quel contesto, il potere papale).

Le cosiddette pasquinate erano dei cartelli e dei manifesti satirici che durante la notte venivano preferibilmente appesi al collo di alcune statue (fra cui Pasquino, da cui il nome) posizionate in luoghi frequentati della città, in modo che al mattino successivo potessero essere visti e letti da chiunque, prima che la polizia dell'epoca li asportasse. Le pasquinate colpirono molti personaggi, la maggior parte dei quali noti per aver preso parte all'esercizio del potere temporale del papato. Le pasquinate furono numerosissime ed esposte a distanza di brevi periodi di tempo. Clemente VII de' Medici, ad esempio, morì dopo una lunga malattia; su Pasquino apparve conseguentemente un ritratto del suo medico, che forse era giudicato non esente da responsabilità circa l'esito delle sue stesse cure, ma tenuto conto delle qualità morali del suo paziente fu indicato come: ecce qui tollit peccata mundi (ecco colui che toglie i peccati del mondo).

Le pasquinate non erano soltanto espressione di un malcontento popolare: in molti casi quegli stessi rappresentanti del potere che erano normalmente, almeno come categoria, oggetto di lazzi e frecciate, le usarono a fini propagandistici contro avversari scomodi, magari sfruttando l'arte poetica ed ironica di letterati che si prestavano al gioco (probabilmente opportunamente ricompensati), come ad esempio Giambattista Marino, Pietro Aretino ed altri. E l'occasione più ghiotta per spargere maldicenze contro concorrenti scomodi nel tentativo di ottenere il favore, almeno popolare, era l'elezione di un nuovo pontefice, che diventava un vero campo di battaglia di una campagna elettorale che si combatteva a colpi di invettive propagandistiche. Non si trattava, in queste situazioni, della classica opposizione al potere, ma solo di favorire qualcuno per la scalata a quel potere.

Nel XVII secolo le pasquinate, come genere letterario, incontrarono una certa fortuna anche lontano da Roma, soprattutto a Venezia, il cui portavoce fu il Gobbo di Rialto e, in misura minore, a Firenze, con il celebre porcellino della Loggia del Mercato Nuovo.



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Pasquinate celebri

Pio IX (1846-1878)

CXCIII
La scelta del nuovo Papa


La fortuna torca il guardo
Da quell'italo bastardo
Che convoca gli esteri.
Mattei pur lo guardi bieca,
Egli è tutto fede greca
Proprio da pos...
Non vi sia neppur vicino
Petulante cappuccino,
Che farà spropositi.
I Riari con cafoni
Ne' trambusti non son buoni:
Qui ci vuol coraggio.
Papa vuole verità,
Perciò escluder converrà
Macchi e Deangelis,
Che mai vero hanno parlato;
La politica han cambiato
nelle frottole
Tralasciamo Polidori
ancora ai servitori:
vogliamo monache.
Il Bemetti il trono affanna;
sofferto una condanna,
dunque al diavolo!
Senza dubbIo che Franzone
di scopra un istrione
nato in Genova.
E' scabroso il fare Ostini:
Brama troppo li quattrini;
l'anima
Oalli Genovesi vampi
pietoso, deh, ci scampi,
da Brignole.
Barberini, Falconieri,
Massimo ed Alfieri,
ai feudi.
Maj, non merita elezione;
la religione
apostata.
Ferretti ha nelle mani
de' Fermani
porremo in soglio.
presceglie lo scrutinio,
il vaticinio
di Samuel:
Per lui posto non vi sia,
Vada e sconti l'avaria
Che commise Spinola.
Soglia o Gizzi, l'indovino,
Sarà papa ghibellino,
Sono amici ai reprobi.
Mezzofante porre il seggio,
v'è timore di carteggio
Con la gente barbara.
Se Alberghini proporrete,
Eminenze, vi dorrete:
Sarà papa un medico.
Orioli sia scartato,
Altrimenti il suo papato
Se lo pasce a tavola.
Non essendovi un quadrante
Nella cassa a porre inutile.
Nè vendè l'assoluzione:
Sarà papa anatema.
Serafini non conviene:
Camminiamo troppo bene;

Che gli venga un granchio.
Simonetti è irregolare;
Abusò nel comandare
Presso il Sant'ufficio.
L'imbecille nauseante
Prepotente esrtavagante
Patrizi pontefice!
Non serbate Fieschi in seno,
Fatto adulto il Nazzareno
Ha dismesso l'asino,
Se vien Corsi, volto il tergo:
è buon pel tantum ergo:
di Rota parlino.
Se avvenisse di por mente
presidente,
sarà l'interprete?
la sorte papa detti
Genga, i cancelletti
la bettola.
Vannicelli se sarà,
andremo in società:
assassini girano.
Clarelli è un poco odioso,
un viSo dispettoso
senza carattere.
Pianetti son chiamati
Congresso dei scienziati
Asquini e Gazzoli.
Fo silenzio dei restanti:
v' è duopo parli avanti:
gregge ignobile.



Paolo III (1534-1550)


XLV.
Roma era in mano ai Medici per fiera malattia,
Ora di male in peggio caduta è in Farnesia.


XLVI.
I ruffiani regnar con Papa Sisto;
Con Giulio i sodomiti ebber iattanza;
Con Leone il giullare prence fu visto;
Poser fra noi stragi e rapina stanza
Sotto Clemente: ed or, Paolo, potremo
D'un migliore avvertir nutrir speranza?..

XLVII.
Per la sua smania di arricchire.
Per Paolo In oriamo, a cui l'amore
Va di sua casa divorando il core.


XLVllI.
Per la sua mancanza di fede verso gli alleati.

Ieri marmoreo tronco era, sprezzato e vile,
Oggi di perseo assumo l'aspetto giovanile.
Se lice a Paol mutarsi ben dieci volte all'ora,
Perchè non fia concesso mutare a me talora ?

XLIX

Per la cupidigia sua e dei nipoti.
Cerbero con tre fauci un dì latrava,
Ma almen d'assordar sol s'accontentava
Le genti grame:
Con quattro fauci tu non turbi alcuno,
Ma divori, divori... e, ognor digiuno,
Hai sempre fame!...

L.
La testa di Medusa, stamattina
Sembrommi il Papa; e palVemi i nipoti
La chioma serpentina:
Or sorgi, Perseo; e, per giovare a Roma,
Quel capo con la tua spada percuoti:
Reciderai la chioma!


L.
M. Deh, prestami un baiocco car Pasquino,
Poi che il Santo Pastore mi ha lassato.
P. O, povero Marforio disgraziato,
Non eri tu romano e cittadino?..
M. era romano anchora Paulino,
Poi vedi quanti amici ha dispogliato.
Cesi, Medici e Spinola ha ammazzato
Per dare ai suoi nipoti e al malandrino
Farnese, Nepi; e tant' altri castelli
A Cibo; Santo Spirito non vede
che il diavolo o tien per li capelli.
Non ha più carità, non ha più fede,
ma rei costumi e sempre a Dio ribelli.
Nè vaI gridar nè dirnandar mercede:
E se Dio non provvede
A questo homicidiale viver lasso,
chiamarem per soccorso Sathanasso.


Lll.
Per aver fatto cardinali ignoranti.
Oh Santo Padre, non averla a male,
Deh! fammi cardinale!...
San rude, son di sasso, son deforme...
Eppure a torme
Cardinali alla Chiesa tu procuri
Di me più duri.


LllI.
Parallelo fra Cristo e il Papa.


Cristo non volle regno; il Papa ne conquista.
Là di spine corona; qua di gemme commista.
Quegli lavava i piedi, umil, sereno altrui;
! Questi orgoglioso vuole che li bacino a lui.
i Cristo pagò i tributi e il gregge pascolò;
li Papa e lusso e gioie e imperio ognor cercò.
Povero, Cristo ascese del Calvario la china;
Ricco il Papa e superbo va attorno in portantina.
L'un respinse i tesori e i mercanti dal tempio;
D'ogni più sacra cosa l'altro a ricchir fa scempio.
Cristo amoroso, umile, venne agnello di pace;
Agita il Papa in terra degli eccidi la face,
L'un grandeggiò nell' opera santa del su
Vangelo; o
L'altro, alleato ai demoni, ne tenta lo sfacelo.




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