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Giuseppe Gioacchino Belli

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    kamo58
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    00 12/01/2012 15:36


    Giuseppe Francesco Antonio Maria Gioachino Raimondo Belli (Roma, 7 settembre 1791 – Roma, 21 dicembre 1863) è stato un poeta italiano. Nei suoi 2200 sonetti in vernacolo romanesco raccolse la voce del popolo della Roma del XIX secolo.

    « Io ho deliberato di lasciare un monumento di quello che oggi è la plebe di Roma.
    In lei sta certo un tipo di originalità: e la sua lingua, i suoi concetti, l'indole, il costume, gli usi, le pratiche, i lumi, la credenza, i pregiudizi, le superstizioni, tuttociò insomma che la riguarda, ritiene un'impronta che assai per avventura si distingue da qualunque altro carattere di popolo. Né Roma è tale, che la plebe di lei non faccia parte di un gran tutto, di una città cioè di sempre solenne ricordanza. »

    (Giuseppe Gioachino Belli, introduzione alla raccolta dei sonetti)
    « Non casta, non pia talvolta, sebbene devota e superstiziosa, apparirà la materia e la forma: ma il popolo è questo e questo io ricopio. »

    (Giuseppe Gioachino Belli, introduzione alla raccolta dei sonetti)
    « Io qui ritraggo le idee di una plebe ignorante, comunque in gran parte concettosa ed arguta, e le ritraggo, dirò, col concorso di un idiotismo continuo, di una favella tutta guasta e corrotta, di una lingua infine non italiana e neppur romana, ma romanesca. »

    (Giuseppe Gioachino Belli, introduzione alla raccolta dei sonetti)

    L'opera del Belli, principalmente nota per la produzione dei suoi sonetti in dialetto, rappresenta con felice sintesi la mentalità dei popolani della Città Eterna, lo spirito salace, disincantato, a tratti furbesco e sempre autocentrico della plebe, come egli stesso la individua, rendendo con vivezza una costante traduzione in termini ricercatamente incolti di tutte le principali tematiche della quotidianità del tempo.
    Belli appoggiato alla balaustra di Ponte Quattro Capi

    L'aspetto teocratico della Roma dei papi, della Roma del "Papa Re", che incrocia le vicissitudini del popolano nelle ritualità religiose e nelle liturgie giuridiche, nell'immanenza politica come nella sacralizzazione del pratico, è sempre, in ogni verso svolto nell'ottica del vulgus, che sue proprie conclusioni trae secondo quanto di sua percezione. In questo senso è stato discusso se l'opera belliana, come inizialmente accadde, possa ancora tout-court ascriversi al verismo, che intanto dava migliori prove nella prosa, o se invece non sia il caso di riconsiderarla fra le categorie che, avvicinandosi al picaresco per tematiche e contestualizzazioni, trovano un certo fattore comune nella forma della poesia dialettale italiana.

    Da un punto di vista letterario, si tratta infatti della produzione più corposa della poesia dialettale italiana dell'Ottocento, e contemporaneamente, in termini linguistici, si tratta di un documento di inestimabile valore sulle mille possibili articolazioni del romanesco, di cui isola un tipo oramai classico, mentre il tempo trascorso ha già provveduto a farlo evolvere.

    A chi vi veda solo un carattere di poesia minore (e questa posizione non è maggioritaria), personalistica, ad usi familiari, si contrappone dunque chi vi riconosca il registro storico di una fase culturale popolare, un secolo prima che l'esigenza di catalogare e studiare ,e prima ancora, di raccogliere, gli elementi espressivi dei ceti bassi, certamente quelli anche proverbiali, divenisse sentimento diffuso. Il corpo dei sonetti raggiunge inoltre anche un obiettivo non secondario delle opere letterarie, che è il piacere della lettura, agevolato dalla costante ed intrigante trasparenza del personale diletto dell'Autore nella sua estensione.




    Belli appoggiato alla balaustra di Ponte Quattro Capi

    Eppure il realismo è parte del modo narrativo belliano, quantunque non esclusivo. Del realismo Belli fu certo attento osservatore, avendone peraltro selezionato materiale per il suo Zibaldone, ma l'inclinazione verso una satira di sistema, velenosa proporzionalmente alla presunta impossibilità di portare a moralistica "redenzione" i cattivi costumi che punge, sposta la classificabilità verso parametri solo apparentemente più "leggeri", e difatti dell'opera si hanno inquadramenti nelle categorie dell'umorismo, della "cronica", del lazzo e - per estremo - della letteratura scandalistica. Come per altre opere di tutte le letterature, al piacere di degustarne l'arguzia, si è spesso aggiunta la morbosità per la dirompente frequenza di ricorso a termini e locuzioni, o proprio a situazioni tematiche, di drastico scandalo.

    Al Belli che di fatto componeva un'opera moralisteggiante, senza uso dei limiti e senza rispetto delle inibizioni "morali" della letteratura ufficiale, per di più con l'aggravante di essere egli stesso censore ufficiale dell'arte per ragioni di pubblica moralità, non si riconobbe se non sottovoce, quasi clandestinamente, valore letterario, almeno sin quando (nella seconda metà del Novecento) la cultura ufficiale non prese atto, restituendolo come nozione, che presso il popolo erano in uso il turpiloquio e la semplificazione in senso materiale delle tematiche riguardanti la religione (il "Timor di Dio"), il pudore sessuale ed altri argomenti di pari delicatezza.

    I sonetti, più di 2.200 sono, non infrequentemente, accostati alla proverbialistica poiché nel loro complesso dipingono con ampiezza di dettaglio la filosofia dei Romaneschi del tempo (da non confondersi con i Romani ai quali ultimi, e non ai primi, il Poeta diceva di appartenere), costituendone impercettibilmente, come dall'Autore stesso dichiarato, "monumento".

    da wikipedia
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    kamo58
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    00 12/01/2012 15:42





    515. La viggija de Natale



    Ustacchio,[1] la viggija de Natale
    tu mmettete de guardia sur portone
    de quarche mmonziggnore o ccardinale,
    e vvederai entrà sta priscissione.[2]



    Mo entra una cassetta de torrone,
    mo entra un barilozzo de caviale,
    mo er porco, mo er pollastro, mo er cappone,
    e mmo er fiasco de vino padronale.



    Poi entra er gallinaccio, poi l’abbacchio,
    l’oliva dorce, er pesce de Fojjano,[3]
    l’ojjo, er tonno, e l’inguilla de Comacchio.



    Inzomma, inzino a nnotte, a mmano a mmano,
    tu llí tt’accorgerai, padron Ustacchio,
    cuant’è ddivoto er popolo romano.



    1 Eustachio.

    2 Processione.

    3 Lago nelle paludi pontine, assai in credito per la pescagione del pesce, che vi rimonta dal vicino mare per via di un canale.
    [Modificato da kamo58 12/01/2012 15:44]
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    kamo58
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    00 14/01/2012 15:52


    Giudizio universale - Giotto


    Er giorno der giudizzio


    Quattro angioloni cole trombe in bocca
    se metteranno uno pe cantone
    a sonà: poi co tanto de vocione
    cominceranno a dí: ” Fora a chi tocca”.

    Allora vierà su una filastrocca
    de schertri da la terra a pecorone,
    pe ripijà figura de perzone,
    come purcini attorno de la biocca.

    E sta biocca saà Dio benedetto,
    che ne farà du’ parte, bianca e nera:
    una pe annà in cantina, una sur tetto.

    All’urtimo uscirà ‘na sonajera
    d’angioli, e, come si s’annassi a letto
    smorzeranno li lumi, e bona sera.



    [SM=x2784973]


    Traduzione:
    Quattro grandi angeli
    con le trombe in bocca
    si sistemeranno ai quattro angoli
    a suonare: poi con voce grossa
    cominceranno a dire: "Avanti a chi tocca"
    Allora risorgerà una fila di scheletri
    a pecorone uscendo alla terra
    per riprendere forma di persona
    come i pulcini attorno alla chioccia.
    Questa chiocchia sarà Dio Benedetto,
    che li dividerà in due parti, bianca e nera.
    Una per andare all'inferno e l'altra in Paradiso (cantina e tetto)
    All'ultimo uscirà un coro d'angeli,
    e come se si andasse a letto
    spegneranno e luci e buonasera.
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    kamo58
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    00 17/01/2012 09:02




    Er Bottegaro


    Chi un bùscio[1] de bbottega cqua vvò uprí [2]
    prima de tutto je bbisogna annà
    da Monziggnor Governatore, e llà
    aspettà un anno che jje dichi:[3] Sí.

    Finarmente opri; e ecchete[4] de cqua
    Monziggnor de la Grasscia pe ssentí
    si cciài liscenza,[5] e cquanno, e ccome, e cchi:
    e, vvisto tutto, te la fa sserrà.

    Rimedi st’antra: e ecchete[6] de sú
    10er Cardinal Vicario pe vvedé
    si cc’è ggente che offenni er bon Gesù.

    Quann’è ppoi tutt’in regola, ch’edè? [7]
    scappa un editto; e ssenza ditte[8] ppiú
    te se maggneno[9] er buscio e cquer che cc’è.






    Note

    1 Buco.
    2 Vuole aprire.
    3 Gli dica.
    4 Eccoti.
    5 Se ci hai licenza: se hai licenza.
    6 Eccoti.
    7 Che è?
    8 Dirti.
    9 Ti si mangiano.
    [Modificato da kamo58 17/01/2012 09:03]
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    kamo58
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    00 01/02/2012 11:21




    La parola Minente deriva da Eminente ed erano chiamati così quelli, che pur essendo di condizione abbastanza agiata, seguitavano a portare l'abito proprio del volgo romanesco. Nella denominazione delle varie vivande che compongono il pranzo de la Minente vengono nominate altre pietanze di carattere decisamente romano come il garofolato la pizza aricresciuta e er fitto de carciofori e granelli. Viene fuori come a Roma, la gente del popolo spesso e volentieri, ma soprattutto volentieri, sappia mangiar meglio e con molta minor parsimonia degli apaprtenenti al ceto borghese e del così detto Generone, l'aristocrazia.



    Er pranzo de la Minente

    Mo ssenti er pranzo mio. Ris’e ppiselli,
    allesso de vaccina e ggallinaccio,
    garofolato,[2] trippa, stufataccio, [3]
    e un spido[4] de sarsicce[5] e ffeghetelli. [6]
    5
    Poi fritto de carciofoli e ggranelli,
    certi ggnocchi da fàcce er peccataccio, [7]
    ’na pizza aricresciuta de lo spaccio, [8]
    e un’agreddorce de ciggnale[9] e ucelli.

    Ce funno peperoni sott’asceto
    10salame, mortatella e casciofiore,
    vino de tuttopasto e vvin d’Orvieto.

    Eppoi risorio[10] der perfett’amore,
    caffè e ciammelle: e tt’ho llassato arreto
    certe radisce da slargatte er core.

    15Bbè, cche importò er trattore?
    Cor vitturino che mmaggnò con noi,
    manco un quartin[11] per omo:[12] e cche cce vòi?


    Terni, 8 ottobre 1831 - D’er medemo



    Note


    ↑ Garofanato: specie di umido di manzo.
    ↑ Altro umido tagliato in pezzi.
    ↑ Spiedo.
    ↑ Salsicce.
    ↑ Quando è così nominato, intendesi sempre per «fegato di maiale».
    ↑ Peccato di gola.
    ↑ Comperata.
    ↑ Cinghiale.
    ↑ Rosolio.
    ↑ Il quartino era una moneta d’oro del valore di un quarto di zecchino; oggi è rarissima e quasi irreperibile, ma n’è restato il nome di convenzione fra il volgo per dinotare paoli cinque.
    ↑ Per «cadauno»: e in questo senso, il per omo vale anche per «donna».
    [Modificato da kamo58 01/02/2012 11:27]
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    kamo58
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    00 17/04/2012 11:06
    Er proveditore de Sant'Anna in Borgo

    Poi bisogna pensà, fratel Mattia,
    che peì li cinque o sei de st'antro mese
    ce toccheno qui a noi le Sette Chiese.
    Volessivo lassà st'opera pia?

    S'ha dunque d'avvisà la Compagnia
    e potè regolasse nelle spese;
    e intanto fa' venì da Maccarese
    la più mejo vitella che sia.

    S'ha pure da fa scrive a Vignanello
    pe' er solito baril de vino asciutto,
    e per un altro a due più tonnarello.

    Perch'io poi nun voria trovamme brutto;
    che pe' sta divozione, io so', fratello
    quer che ha la bega de provvedè a tutto.


    [SM=x2784973]


    Il Provveditore di Sant'Anna in Borgo si occupava della Confraternita dei Palafrenieri, che era la confraternita delle persone di servizio. Ma questa chiesa è nota a Roma non tanto per questa faccenda, quanto per il fatto che è a Sant'Anna che vanna a raccomandarsi tutte le donne che stanno aspettando un bambino, dato che Sant'Anna ha preso il posto della Dea Giunone che proteggeva le partorienti. Per questo motivo, il suo giorno che si festeggia il 26 di giungo, tutte le donne incinte vanno a chiedere l'intercessione della Santa per poter avere un parto felice e tale è il via vai di donne incinte che il popolino lo ha battezzato anche "la pricissione de le panze".
    [Modificato da kamo58 17/04/2012 11:08]
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    kamo58
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    00 24/06/2012 11:39



    Er dottore somaro

    Corpa sua. E perchè lui non se spiega
    pe' che la raggione l'antra settimana
    rispose ar mio discorso in lingua indiana
    quanno me venne a visità a bottega?

    Dico: "Diteme un po', sor dottor Brega,
    po' fa male er cenà co' la terzana?".
    Dice: "Abbasta sia robba tutta sana
    tu poi pure cenà: chi te lo nega?".

    Me magnai dunque sano un pagnottone
    casareccio, un salame, una gallina,
    na caciotta, un cocommero, un melone.

    Lui, cazzo aveva da parlà itajano
    e risponneme a me, quela mattina:
    "Magna robba insalubra e vacce piano".

    [Modificato da kamo58 24/06/2012 11:40]
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    kamo58
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    00 06/11/2012 16:13



    Er tempo, fija,
    è peggio d’una lima.
    Rosica sordo sordo e t’assottija,
    che gnisun giorno sei quella de prima