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Di Bianca Medeccia

«Era una giornata afosissima. Stavamo morendo di caldo men­tre aspettavamo l’apparizione della diva. Qualcuno comincia­va a insinuare che Theda si fos­se liquefatta con il bistrò che le impastava le ciglia. Si aprì una porta e ap­parve ai nostri occhi la regina delle sirene bardata di pellicce fino ai denti. “Miss Bara — disse l’agente con una voce da im­bonitore da circo — è nata all’ombra della Sfinge. Laggiù fa molto, molto caldo e lei qui ha freddo». Theda Bara fu la prima vamp ufficiale del cinema americano. Solo quindici anni prima, nel 1903, una figura di donna piccolina e bionda si era mossa su uno schermo tremolante. Si ve­deva appena: la pellicola era breve e con­fusa. Il suo nome Mae Murray, la prima attrice cinematografica del mondo. Pochi anni dopo gli schermi erano pieni di don­ne che sbarravano gli occhi paurosamen­te o che si aggrappavano con lunghe dita tremanti ai tendaggi. Di Theda Bara si raccontava fosse nata in pieno deserto sahariano dagli amori di un ufficiale francese con una donna ara­ba, dalla quale Theda avrebbe ereditato poteri magici. Il suo nome era un ana­gramma di Arab Death, morte araba. Le immagini tratte da un suo film Sin (Peccato), la ritraggono fasciata fino ai piedi da un abito scuro con gli occhi cu­pi rivolti fissi verso lo spettatore, mentre le braccia erette reggevano un’incredibile selva di capelli neri che ricadevano sulle spalle bianche, quasi fino alla cintola. Theda diventerà famosissima girando film come Cleopatra, La donna tigre, Salomè, Saffo eterna. In realtà si chiamava Theodosia Goodman ed era na­ta nell’Ohio.

«Ho fatto un calcolo — disse nel ‘12 una bambina di so­li tredici anni — mi rimangono solo sette anni per di­ventare famosa, poi sarò troppo vecchia. Ho una famiglia da mantenere e se non sfondo entro ottobre mi ritiro». E così il suo ultimo nichelino se ne andò per potersi presentare a uno dei più famosi produttori cinematografici di Hollywood. La bambina si chiamava Gladys Smith, e con il nome di Mary Pickford sarebbe di­ventata una delle più famose attrici del cinema muto. Per il pubblico americano era Our Mary (la nostra Mary). Anche quando si sposò con Douglas Fairbanks (famoso da noi per aver dato volto a Zorro), fu sempre costretta ad apparire in pubblico vestita da marinaretta. Negli an­ni del sonoro aveva trent’anni. Si ritirò ma con lei era nato lo star system.

Ma le prime attrici del muto non era­no così famose, e la figura della Diva nasce più tardi quando si sviluppa una feroce rivalità tra case cinematografiche. All’inizio l’associazione diva-donna fata­le non è automatica e la figura della fem­me fatale nascerà proprio in Italia dove le prime divine fisicamente erano morbide e rotonde. I loro amanti invece erano magri, con gli occhi sprofondati nelle orbite o per meglio dire nel “gorgo della lussuria”. In seguito con Lidia Borelli e Francesca Bertini, la diva italia­na dimagrisce. Anche se l’immagine del­la donna lentamente cambia accanto a lei vi è sempre un uomo bruno, con bella dentatura, baffi nerissimi, volto magro e naso prominente.

Le trame dei film erano abbastanza scontate; se la grande amatrice assisteva a una parata militare un tenente dei lan­cieri, trafitto, cadeva da cavallo. Se visita­va una mostra di quadri un pittore capel­luto si inginocchiava davanti al­l’Ispirazione finalmente trovata. La di­dascalia recitava: «E l’amore divampò». Quando la fatalissima si stancava di un amante e decideva di liquidarlo, l’uomo di turno fremeva e sul telone bianco si leg­gevano dialoghi di questo tipo:

«Elena, Elena! Non mi ami più? Sei sazia di me, Elena?» — e lei — «Sì. Vattene!». Lui: «Barbara! Maledetta! Chi è il tuo nuovo amante?». Lei: «Signore vi disprezzo!». Lui: «Pietà, Elena! Pietà! Ho abbandonato mia moglie per te! Io ti bramo!». La didascalia informava che: «Tutto il passato risorge in lui». E sullo schermo risorgevano la moglie, i figli, la vecchia madre, e lo zio monsignore. Poi il duello, la morte e il riso schernitore della fatalissima. Il pubblico mitragliato da punti esclamativi, soffriva.

Nel ’15 negli Stati Uniti arriva una ragazza europea bionda e rotonda. Ha un’aria goffa e si veste malissimo. Il suo nome era Greta Gustafsson. Viene messa a dieta: diventerà Greta Garbo. Il pubblico la vedrà quasi sempre recitare in camere da letto con baldacchini, lenzuola di seta, specchio sopra il letto, tendine svolazzanti anch’esse di seta.

Uscita dall’al­cova del set, la Garbo si sfilava in fretta i vestiti di scena (come quello costruito per Mata Hari costato 10.000 dollari e al quale avevano lavorato operaie per due mesi) e indossava una vecchia gonna e un maglione accollato, con un sospiro di sollievo. Sarà una delle poche attrici che sopravvivrà al sonoro.

Al suo pri­mo film sonoro i giornali annunciaro­no: «La Garbo parla». Le sue prime parole furono: «Dammi un whisky. Ginger ale a parte, e non fare il tir­chio, bimbo». La sua voce profonda e roca fu un successo. In occasione del suo primo film comico il nuovo slogan fu: «La Garbo ride». E la Garbo, per la prima volta, rise. Dopo il suo ritiro passava ore a ri­vedere i suoi film commentando­li ad alta voce e parlando di sé stessa in terza persona. «Guar­datela come si muove. Che as­surda pettinatura ha. Eccola, ora dirà così, farà questo».

Anche Marlene Dietrich è una ragazzina europea, grassoccia e affamata, che pensava a un marito come alla sistemazione più augurabile: «Non mi dispiacereb­be se possedesse una fattoria così che potessimo vivere in campagna ad allevare anatre, polli e maiali e non avere preoccupazioni». Diventa famosa con il film L’angelo azzurro, dove piantata a gambe di­varicate di fronte al pubblico, oppure seduta con le gambe accavallate, in­guainata nel pagliaccetto e nelle calze nere sorrette dalle famose giarrettiere, seduce l’anziano professore Unrath cantando con voce roca: «Io sono fatta per l’amore». Si racconta che per assu­mere quello sguardo intenso che la rese famosa il regista le dicesse: «Conta fino a sei e poi fissa l’obiettivo come se fosse l’unica cosa al mondo che desideri».

Marlene e Greta per gli statunitensi rimar­ranno sempre delle estranee, e non solo per il loro accento: sono scandalose. Greta non si sposa e Marlene è troppo ele­gante e spregiudicata.

All’avvento del sonoro l’aria intorno agli stabilimenti di Hollywood si fece pesante. Lunghe file di autocarri portavano le nuo­ve installazioni parlanti. Molte dive spa­rirono per insufficienza di voce. I produt­tori invece intravvidero nuove possibilità. Si aprì una nuova corsa alla ricerca di nuovi tipi a cui dare voce e presenza.

Ma la morte del cinema muto non portò via con sé la memoria delle vecchie dive, e a molti anni dalla loro scomparsa, rac­contano due giornalisti americani, a Hollywood: «Per cinque dollari si poteva comprare un piccolo scrigno di legno di sandalo che conteneva l’orlo di un’unghia di Mae West o una calza di Marlene Dietrich in una busta di cuoio, o ancora per soli quindici dollari un dente del giu­dizio di Greta Garbo. Queste erano vere e proprie reliquie. Non osavamo chiede­re i certificati di autenticazione: si tratta­va di documenti offerti alla fede, non alla critica».
[Modificato da kamo58 27/01/2012 15:16]