00 18/06/2012 20:17
Film


Titolo originale: Miracolo a Milano
Nazionalità: ITA
Anno: 1951
Genere: Drammatico | Fantasy | Commedia
Regia: Vittorio De Sica
Produzione: Ente Nazionale Industrie Cinematografiche (ENIC)
Distribuzione: Ente Nazionale Industrie Cinematografiche (ENIC) - Manga Films (DVD)
Data di uscita: 1951
Cast: : Paolo Stoppa, Alba Arnova, Emma Gramatica, Guglielmo Barnabò, Brunella Bovo. Virgilio Riento, Arturo Bragaglia, Anna Carena, Checco Rissone, Egisto Olivieri, Erminio Spalla, Francesco Golisano, Renato Navarrini



Ispirato a Totò il buono (1940) di Cesare Zavattini, è una favola sociale sugli “angeli matti e poveri” delle baracche ai margini di Milano che, minacciati di sfratto da un avido industriale, organizzano un'azione di resistenza, animata dall'orfano Totò, che solo un miracolo fa trionfare. Tentativo, parzialmente riuscito, di uscire dalla cronaca neorealistica per la via di un surrealismo grottesco e di una tenera buffoneria, minacciati dal poeticismo. Fotografia di G.R. Aldo. Nastro d'argento per la scenografia (Guido Fiorini). Palma d'oro a Cannes ex aequo con La notte del piacere dello svedese Sjöberg.



Totò il buono, protagonista del romanzo omonimo di Zavattini e del film Miracolo a Milano, è un orfano che capita a vivere in un campo di vagabondi. Di animo delicatissimo e riformatore, Totò dà un aspetto urbano al campo, consola gli afflitti, dà a tutti l’illusione di vivere normalmente. I guai cominciano quando si scopre che il campo è una ricca sorgente di petrolio. I vagabondi dovranno essere sfrattati dal rapace acquirente del campo, il banchiere Mobbi, che si presenta prima in veste di demagogo e, alla fine, scoperto il giuoco, colle sue comiche squadre di poliziotti. Senonché la buona fatina di Totò dà a costui una colomba (probabilmente ex modella di Picasso), capace di ogni miracolo: e Totò si serve del suo talismano per ritardare la vittoria del banchiere ed infine per volarsene con tutti i suoi vagabondi in un altro regno, un regno dove “la parola buongiorno vuol dire veramente buongiorno”. Prima del volo finale, Totò ha naturalmente esaudito tutti i modesti desideri dei suoi amici: quasi tutti hanno chiesto una pelliccia uguale a quella del banchiere Mobbi. Da questo breve sunto, speriamo risulti che il sospetto in cui ogni artista deve tenere il cinema per l’estrema libertà che concede alla fantasia, non ha sfiorato sufficientemente gli autori del film, De Sica e Zavattini. In Miracolo a Milano, vogliamo dire, le rotture della realtà, i colpi di bacchetta magica sono forse più del necessario e soffocano alla fine un racconto che avrebbe potuto essere un capolavoro di umorismo e di satira. Un seguito di belle scene, di battute felici, di invenzioni bizzarre non basta a fare un film se manca il sostegno di una realtà plausibile, se manca una “morale”, cioè se le invenzioni non sono giustificate da quella logica delle favole, che appunto perché libera impone più limiti. Si aggiunga che il cinema è di per se stesso un’arte abbondantemente miracolosa. Sullo schermo le leggi che regolano l’universo sono così a discrezione dell’autore, anzi possono tanto essere capovolte, gli asini volare, i fantasmi parlare (e ciò accade purtroppo con frequenza) perché non si debba temere, sotto questa apparente libertà, il tranello della licenza. I poveri di Zavattini, è noto, sono matti. Questa volta hanno sopraffatto i poveri di De Sica che invece debbono la loro umanità al fatto di conservare la ragione. Gli sciuscià, i ladri di biciclette ci interessano perché sono nostri fratelli. È la loro umanità che li porta a soccombere, par delicatesse. I vagabondi hanno invece valicato quel confine oltre il quale certe parole perdono il loro corrente significato e ne assumono un altro, forse egualmente giusto, ma per noi incomprensibile. Ecco perché i poveri che vediamo in questo film non ci commuovono se non quando si mettono nei nostri panni. La differenza è tutta qui: che i poveri di Zavattini hanno superato la sconfitta e si raccontano storielle a vicenda, quelli di De Sica soffrono sotto il peso di un’incomprensione, anelano ad una società le cui leggi sono scritte nel loro cuore. Ma che cosa hanno portato gli zavattiniani in questo film, se non una disposizione al divertimento, al non sense, che li spinge alle azioni più impensate ma spesso anche più gratuite? La comicità, la grazia di certe situazioni di Miracolo a Milano sono indubbie, ma si resta alla fine come defraudati dei tanti anticipi concessi su una partecipazione che avrebbe voluto essere totale e giustificata. I momenti di rara bellezza, ripetiamo, non mancano. Non si dimenticano facilmente certe scene come quelle del funerale o quella dei poveri che si scaldano all’unico raggio di sole che è riuscito a forare, come in un quadro sacro, la nebbia milanese. O la scena del pollo, mangiato in silenzio, sotto lo sguardo degli altri poveri, dal vagabondo che ha vinto il premio della lotteria gastronomica. O ancora l’altra scena dei viaggiatori in vagone letto che guardano e sono guardati (con curiosità quasi scientifica e comunque priva di ogni emozione) dai miserabili abitanti dei campo. Sono scene nelle quali si sente che i poveri di De Sica hanno avuto qualche parola da dire. Per il resto, siamo alle freddure. Così: i poveri che pagano per ammirare il tramonto; o il ricco banchiere che per barometro tiene appesa fuori della sua finestra una delle sue guardie. In questo incessante fratturarsi della continuità emotiva sta certo il segreto della freddezza di Miracolo a Milano; film tuttavia nobilissimo, e in cui De Sica dimostra di essere un direttore di immense capacità, riuscendo per tutto il tempo a tener viva una storia che altri ci avrebbero consegnato morta sin dall’inizio.

Ennio Flaiano Da Il Mondo, n. 7, 17 febbraio 1951



[Modificato da kamo58 18/06/2012 23:22]