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L'enigma dell'ora


La Metafisica è l’altro grande contributo all’arte europea che provenne dall’Italia, nel periodo delle avanguardie storiche. Per la sua palese figuratività, esente da qualsiasi innovazione del linguaggio pittorico, la Metafisica è da alcuni esclusa dal contesto vero e proprio delle avanguardie. Essa, tuttavia, fornì importanti elementi per la nascita di quella che viene considerata l’ultima tra le avanguardie: il Surrealismo.

Protagonista ed inventore di questo stile fu Giorgio De Chirico. Iniziò a fare pittura metafisica già nel 1909, anno di nascita del futurismo. Ma rispetto a quest’ultimo movimento, la metafisica si colloca decisamente agli antipodi. Nel futurismo è tutto dinamismo e velocità; nella metafisica predomina la stasi più immobile. Non solo non c’è la velocità, ma tutto sembra congelarsi in un istante senza tempo, dove le cose e gli spazi si pietrificano per sempre. Il futurismo vuol rendere l’arte un grido alto e possente; nella metafisica predomina invece la dimensione del silenzio più assoluto. Il futurismo vuole totalmente rinnovare il linguaggio pittorico; la metafisica si affida invece agli strumenti più tradizionali della pittura: soprattutto la prospettiva.

Si potrebbe pensare che la metafisica sia alla fine solo un movimento di retroguardia fermo a posizioni accademiche. Ed invece riesce a trasmettere messaggi totalmente nuovi, la cui carica di suggestione è immediata ed evidente. Le atmosfere magiche ed enigmatiche dei quadri di De Chirico colpiscono proprio per l’apparente semplicità di ciò che mostrano. Ed invece le sue immagini mostrano una realtà che solo apparentemente assomiglia a quella che noi conosciamo dalla nostra esperienza. Uno sguardo più attento ci mostra che la luce è irreale e colora gli oggetti e il cielo di tinte innaturali. La prospettiva, che sembrava costruire uno spazio geometricamente plausibile, è invece quasi sempre volutamente deformata, così che lo spazio acquista un aspetto inedito. Le scene urbane, che sono protagoniste indiscusse di questi quadri, hanno un aspetto dilatato e vuoto. In esse predomina l’assenza di vita e il silenzio più assoluto. Le rappresentazioni di De Chirico superano la realtà, andando in qualche modo «oltre». Ci mostrano una nuova dimensione del reale. Da ciò il termine «metafisica» usata per definirla. Le immagini di De Chirico sono il contesto ultimo a cui può pervenire la realtà creata dal nostro vivere.

La Metafisica, come movimento dichiarato, sorse solo nel 1917, a Ferrara, dall’incontro tra De Chirico e Carlo Carrà. Quest’ultimo proveniva dalle file del futurismo, ma se ne era progressivamente distaccato. L’incontro con De Chirico lo convinse al recupero della figura e all’esplorazione di quel mondo arcaico e fisso che caratterizza la pittura metafisica di De Chirico. Alla metafisica si convertì anche Giorgio Morandi, che nella purezza e severità delle immagini metafische trovò la sua cifra stilistica più personale. Alla metafisica aderirono, seppure a tratti, altri pittori italiani, tra cui Alberto Savinio, fratello di De Chirico, Filippo De Pisis, Mario Sironi e Felice Casorati.

Nel 1921 il gruppo della Metafisica era già sciolto, dato che la maggior parte dei suoi protagonisti si erano aggregati intorno alla corrente di Valori Plastici. Ma la pittura metafisica di fatto non scomparve, restando una cifra di fondo, molto riconoscibile, di Giorgio De Chirico e di molti degli artisti che avevano condiviso la sua esperienza.




Le muse inquietanti

Giorgio De Chirico (1888-1978) nacque in Grecia da genitori italiani. Nel 1906 si trasferì a studiare in Germania a Monaco, dove venne a contatto con la cultura tedesca più viva del momento. Si interessò alla filosofia di Nietzsche, Schopenhauer e Weininger e fu molto colpito dalla pittura simbolista e decadente di Arnold Böcklin e Max Klinger. Nel 1910 si trasferì a Parigi dove divenne amico dei poeti Valery e Apollinaire, ma rimase estraneo al cubismo che, in quegli anni grazie a Picasso, rappresentava la grossa novità artistica parigina.

Egli rimase comunque sempre estraneo alle avanguardie, nei quali manifestò spesso atteggiamenti polemici. In quegli anni dipinse molti dei suoi quadri più celebri che vanno sotto il nome di «Piazze d’Italia». Si tratta di immagini di quinte architettoniche che definiscono spazi vuoti e silenziosi. Vi è la presenza di qualche statua e in lontananza si vedono treni che passano. L’atmosfera magica di queste immagini le fa sembrare visioni oniriche.

Nel 1916, all’ospedale militare di Ferrara, De Chirico incontrò Carrà, ed insieme elaborarono la teoria della pittura metafisica. Il termine metafisica nasce come allusione ad una realtà diversa che va oltre ciò che vediamo allorché gli oggetti o gli spazi, che conosciamo dalla nostra esperienza, sembrano rivelare un nuovo aspetto che ci sorprende. E così le cose che conosciamo prendono l’aspetto di enigmi, di misteri, di segreti inspiegabili.

In questo periodo, oltre agli spazi architettonici, entrano nei soggetti dechirichiani anche i manichini. Questa forma umana, pur non essendo umana, si presta egregiamente a quell’assenza di vita che caratterizza la pittura metafisica. Anzi, per certi versi la esalta, data la visibile contraddizione tra ciò che sembra umano ma non lo è.



Il canto d'amore


Dal 1918 al 1922 partecipa attivamente alla vita di «Valori Plastici», mentre nel 1924 torna a Parigi dove frequenta il gruppo dei Surrealisti. Benché i surrealisti riconoscono in De Chirico un loro precursore, il pittore italiano non accettò mai di integrarsi nella loro poetica o nel loro stile. A lui era estranea soprattutto quella accentuazione della dimensione onirica, fatta di automatismi inconsci.

In seguito la sua pittura si rivolse sempre più ad una classicità di tipo archeologico, dove il ricorso alle mitologie venne sempre interpretata in chiave metafisica, che rimase comunque il suo principale amore. E alla pittura metafisica fece costantemente ritorno anche negli anni successivi, fino a quando morì a Roma nel 1978, all’età di novanta anni.


Gli archeologi









Fonte: francescomorante.it