00 31/08/2012 12:43
Andrea Camilleri
Una delle mie letture estive, interessante nei contenuti, esilarante nello stile, fa riflettere sulla Sicilia e sull'Italia degli albori. Consiglio vivamente di leggerlo.




Come in altri libri a contenuto storico Camilleri prende ispirazione anche in questo romanzo da un avvenimento reale descritto nella "Inchiesta sulle condizioni della Sicilia (1875-1876)", pubblicata nel 1969 dall'editore Cappelli di Bologna.[2]

I fatti descritti nell'inchiesta si svolsero storicamente a Caltanissetta dove un diffuso malumore popolare per il malgoverno centrale fu accresciuto dall'intervento inopportuno del prefetto Fortuzzi (il Bortuzzi del romanzo), di origine fiorentina dalla mentalità quindi molto lontana da quella dei siciliani, nel voler far rappresentare per l'inaugurazione del nuovo teatro della città l'opera lirica Il birraio di Preston di Luigi Ricci.

Come lo stesso autore scrive nel post-scriptum posto alla fine dell'indice del libro, l'ordine di lettura dei capitoli può essere variato senza che si perda il senso della trama. In questo, il libro rappresenta uno straordinario esercizio letterario raccontando i medesimi fatti da punti di vista diversi a ogni capitolo.

L'incipit del primo capitolo del romanzo "Era una notte buia e tempestosa", che nel linguaggio italo-siculo di Camilleri diviene "Era una notte che faceva spavento, veramente scantusa", riprende scherzosamente il celebre incipit di Edward Bulwer-Lytton usato a più riprese dal bracchetto-scrittore Snoopy delle strisce di Peanuts, di Charles M. Schulz che lo stesso Camilleri cita nell'indice dell'opera. Anche gli incipit degli altri capitoli richiamano quelli di altri scritti, come l'Autore indica espressamente nell'indice del romanzo.

In questa notte di tregenda si sveglia il piccolo Gerd Hoffer che, alzatosi perché spinto dalla necessità di non bagnare di pipì il letto, come gli è capitato altre volte e perciò duramente punito a timbulate (schiaffoni) dal padre, l'ingegnere minerario tedesco Fridolin Hoffer, sostenitore di un'educazione teutonica, vede dalla finestrella della sua stanza un chiarore dalla parte di Vigàta che capisce non poter essere la luce dell'alba, ma un incendio. Avverte quindi il padre che, inventore di una nuova macchina a vapore per spegnere gli incendi, accorrerà entusiasta a Vigàta per sperimentare finalmente il suo ritrovato. «Ma come è nato l'incendio?» chiede l'ingegnere durante la corsa a suon di tromba verso Vigata, a un contadino che gli risponde, lasciandolo sbalordito: «Ah. Pare che la soprano a un certo punto stonò».

Per chiarire il mistero dell'incendio che riguarda il nuovo teatro di Vigàta, bisogna risalire all'impuntatura del prefetto toscano di Montelusa, sua eccellenza Eugenio Bortuzzi, di voler far rappresentare all'inaugurazione l'opera lirica "Il birraio di Preston" di Luigi Ricci.

I melomani di Vigàta sono in rivolta: nel locale circolo "Famiglia e progresso" i soci non sopportano l'imposizione del prefetto, giudicano Ricci una "mezza calzetta" e la sua musica "una risciacquatura di un'opera di Mozart", ma soprattutto protestano perché essendo vigatesi disprezzano tutto quello che proviene dai montelusani.

Ma il prefetto non demorde, si è "amminchiato" (intestardito) a voler rappresentare "Il birraio di Preston" per cui darà mano libera al suo factotum, il noto uomo di rispetto, il sempre sorridente Emanuele Ferraguto detto don Memè, di usare tutti i mezzi leciti e illeciti per imporre la sua volontà.

Zu Memè intimidirà allora il suocero del direttore del foglio satirico "La gallina faraona", fino ad allora autore di feroci messe in ridicolo del prefetto, che pubblicherà un pacificatore invito ai vigatesi ad apprezzare l'opera di Ricci. Lo stesso Ferraguto farà incollare e sorvegliare i manifesti per l'inaugurazione, subito strappati, che esaltano l'opera de "Il birraio di Preston", e farà arrestare con l'accusa di furto un umile onesto falegname, conosciuto come un grande intenditore di musica, perché, appositamente interpellato per esprimere un giudizio, ha criticato apertamente l'opera di Ricci.

Il prefetto, dal canto suo, chiederà l'intervento dell'esercito per presidiare il teatro nel caso in cui nascessero disordini, ma dinanzi al fermo rifiuto del piemontese generale Casanova,[3] su suggerimento di don Memè, si servirà del capitano Villaroel e dei suoi cavalleggeri per bloccare le uscite del teatro e delle guardie municipali per serrare le porte dei palchi al fine di impedire al pubblico di abbandonare la rappresentazione per protesta.

Finalmente arriva il 10 dicembre 1864, giorno della inaugurazione del teatro "Re d'Italia" e della rappresentazione dell'opera con la presenza di popolani e borghesi che o tranquillamente ignorano quanto avviene sul palcoscenico o si limitano a feroci battute nei confronti dei poveri cantanti che non sanno più che pesci prendere.

Ma la farsa si trasforma in tragedia quando nell'intervallo della rappresentazione, qualcuno prova a uscire per andare alla toilette e viene prontamente fermato dalle guardie municipali. A questo punto sotto gli occhi terrorizzati del prefetto e del sorriso che mai abbandona il viso di don Memè, incominciano ad apparire lame di coltelli e revolver.

La scena diviene frenetica quando un colpo di moschetto sfugge a una guardia municipale mezzo addormentata terrorizzando la già provata attrice che sta cantando in quel momento e che trasforma l'acuto in una specie di "sirena di papore (vapore), rauca potentissima". Il rumore dello sparo amplificato dall'acustica del teatro, l'urlo della "sirena a vapore", il tonfo del corpo sulle tavole del palcoscenico della cantante svenuta, sono gli elementi conclusivi che fanno pensare agli spettatori allo scoppio di una bomba e che trasformano il teatro in un caos che giunge al culmine con lo sfondamento delle porte da dove irrompe sciabolando con i suoi cavalleggeri il capitano Villaroel, che mette eroicamente in salvo il prefetto e la sua consorte.

Nel frattempo altri personaggi stanno agendo all'insaputa di tutti nei sotterranei del teatro: sono dei congiurati mazziniani che stanno incendiando il teatro per farne nascere uno scompiglio da cui far originare una rivolta di popolo, ma da cui invece ne deriverà drammaticamente la morte di due amanti soffocati dal fumo nella stanza di una casa accanto al teatro e un altro morto scambiato per un malfattore colpito da un milite.

Il romanzo continua con una serie di avvenimenti farseschi e drammatici dove alla fine si rivelerà il motivo della accanita volontà del prefetto nel far rappresentare "Il birraio di Preston" a Vigàta: in uno stile all'Aleardi, romantico decadente, il prefetto scrive una lettera all'adorata moglie rivelando che la sua testardaggine nel voler far rappresentare "Il birraio di Preston" risale al fatto che è stato proprio durante quello spettacolo a La Pergola di Firenze che egli ha incontrato la sua futura sposa, la quale però, pur compiacendosi dell'omaggio di un inalterato amore, gli ricorda che il giorno in cui si erano incontrati a La Pergola l'opera rappresentata: «L'era mi'a questo birraio ma un'opera di Bohherini, mi pare si chiamasse La Giovannina o qualche hosa di simile», «Si chiamavaLa Clementina, ora mi ricordo» risponde torvo Bortuzzi.

Camilleri, in questo come in altri suoi romanzi, usa spesso i vari dialetti italiani a seconda dell'origine dei personaggi, ricorrendo - oltre al siciliano - al piemontese, al milanese, al toscano e al romanesco. Anche il Fridolin Hoffer pronuncia qualche frase in tedesco, creando alcune volte una situazione di equivoco (come quando chiede kaltes Wasser - ossia acqua fredda - interpretata dai siciliani come acqua calda per l'assonanza fra l'aggettivo tedesco kalt e l'aggettivo italiano calda.) Questo rende talora difficile la comprensione del testo per chi non conosce il dialetto usato, come nel caso de La mossa del cavallo, in cui il protagonista parla in italiano ma pensa in stretto dialetto genovese, ma dà una vivace nota realistica alla narrazione.

da wikipedia
[Modificato da kamo58 03/09/2012 12:37]