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Rapporti tra la chiesa cattolica e scienza moderna nel XVII secolo

Ultimo Aggiornamento: 12/01/2015 08:11
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23/07/2012 11:56
 
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Simbolo dell'inquisizione


L’inserimento di certi settori, quali astronomia e fisica sperimentale, in una casistica“magica” o “divinatoria” fu uno dei motivi più frequenti del coinvolgimento di opere e idee scientifiche nella prassi inquisitoriale e censoria. Gli interventi sulla scienza posero limiti alla libertà di pensiero e di ricerca. Il divieto degli scritti giudicati contrari all’etica cristiana e ritenuti osceni ne coinvolse alcuni di scienza riguardanti aspetti della realtà usualmente confinati in ambiti privati. Il principio di verità delle Scritture e dell’unicità della loro interpretazione fu la causa di numerosi interventi sui contenuti della scienza. La massima potenzialità censoria si espresse in rapporto alla cosmogonia della Genesi.

L’Inquisizione Romana, espressione di una Chiesa cattolica retriva e conservatrice di fronte alle conquiste della scienza, fu responsabile di due celebri processi, quello contro Giordano Bruno e quello contro Galileo Galilei.





Giordano Bruno

Nacque a Nola nel 1548, a diciassette anni entrò nell’ordine mendicante dei domenicani predicatori. Manifestò subito una personalità inquieta, dotata di viva intelligenza, ebbe inoltre difficoltà a conformarsi alle convenzioni dell’epoca ed alle rigide regole dell’ordine religioso,esternando un grande anticonformismo intellettuale. Ciò non gli impedì una rapida carriera,ordinato sacerdote nel 1572, divenne dottore in teologia nel 1575. Studiò San Tommaso d’Aquino ma anche il “proibito” Erasmo da Rotterdam, lettura che causò l’apertura di un processo a suo carico. Nel 1576 abbandonò l’abito ecclesiastico e si allontanò dall’Italia per sfuggire ai rigori dell’Inquisizione.
Attraversò l’Europa conquistandosi una fama crescente di grande mago, di iniziato ai misteri della tradizione ermetica ma ciò che in particolare lo contraddistingueva, era il possesso di una memoria prodigiosa. Intimo di re e principi, si muoveva ai più alti livelli in un’Europa straziata dalle guerre di religione. Bruno dedicò la sua vita allo studio ed alla ricerca della conoscenza, fu un uomo di vasta cultura e di grande memoria; lo si può considerare tra gli uomini più colti del suo tempo.

Nella teologia proclamò il panteismo. Nella cosmologia intuì l'infinità dello spazio. Nell'astronomia sostituì il sistema eliocentrico a quello geocentrico. Nella biologia affermò l'esistenza della vita in tutta la natura. Nella psicologia dimostrò il pampsichismo, cioè l'animismo universale. Nell'etica gettò le fondamenta di una morale positiva, areligiosa e indipendente, sostenendo che tutto l'universo è pervaso da una teleologia immanente, per cui si perfeziona e si migliora ogni cosa, la natura essendo causa, legge e finalità a se stessa.

Il suo comportamento anticonvenzionale aveva però, in varie occasioni, generato odio tra le persone che la pensavano diversamente. Era contro il geocentrismo tolemaico ed affermava l'infinità dell'universo, un universo privo di centro, privo di alto e basso; un universo che rappresentava il rovesciamento della tradizionale visione cristiana del mondo, legata al sistema aristotelico. I tempi non erano ancora maturi per accogliere le sue idee. Nel trattato De infinito, universo et mondi l'eresia verrà ravvisata nella mancata inclusione di Dio nell’universo. A Ginevra aderì al calvinismo per poi essere scomunicato, processato e costretto ad un’umiliante abiura. Si recò poi in Germania ed in Europa orientale dove pubblicò opere di filosofia, cosmologia, fisica, arte della memoria etecniche magiche. A Praga aderì al luteranesimo ma ricevette la terza scomunica dopo quella cattolica e calvinista. Nel 1591 accettò un insolito invito a Venezia dal nobile Mocenigo che desiderava imparare l’arte della memoria. Resta un mistero il perché decise di tornare in terra cattolica, in uno stato, come la Repubblica di Venezia, dove operava l’Inquisizione. C’è chi ha suggestivamente risposto che il fine ultimo di Bruno fosse di recarsi dal papa e di soggiogarlo con i poteri magici di cui si ritiene in possesso, spingendolo ad una riforma in senso magico-egiziano della religione cattolica. Bruno sapeva della ostilità delle chiese protestanti, e cattolica,di essere inviso ai puritani e indesiderato a livello europeo, perciò molto più probabilmente accettò la proposta, spinto dal desiderio di tornare nella sua terra d’origine, confidando nella gelosa autonomia della Serenissima. Dopo alcuni mesi, il Mocenigo, insoddisfatto dell’insegnamento di Bruno e spaventato al tempo stesso dalle violenze verbali e dai costumi del suo illustre ospite, il 23 maggio 1592 lo denunciò per eresia al tribunale dell’Inquisizione veneziana. Iniziò così uno dei più lunghi e complessi procedimenti della storia dell’Inquisizione. Su di esso si ha una documentazione decisamente abbondante, ancorché largamente incompleta quanto alla sua fase romana a causa del saccheggio degli archivi del Sant’Uffizio operato da Napoleone, e non per altro, data la puntuale redazione dei verbali degli interrogatori e dei processi, ritenuti dagli storici affidabili e veritieri. D’altra parte, gli inquisitori non ritenevano di avere nulla di vergognoso da nascondere, essi erano convinti di fare quanto necessario per riparare un’offesa a Dio e salvare un’anima dall’eterno castigo.




Il processo tuttavia sembrava concludersi con un’assoluzione, soprattutto dopo che nel corso dell’ultimo interrogatorio si gettò in ginocchio davanti agli inquisitori, implorando il loro perdono:

"Domando humilmente perdono al Signor Dio e alle Signorie Vostre illustrissime de tutti lierrori da me commessi (..)prometto di far riforma notabile della mia vita, ché ricompenserò loscandalo che ho dato con altretanta edificazione."

Tuttavia la Congregazione del Sant’Uffizio chiese di avocare la causa a Roma. Richiesta accolta con insolita facilità da una Venezia normalmente gelosa delle proprie prerogative. Bruno giunse a Roma il 27 febbraio 1593, e venne rinchiuso nel carcere del Sant’Uffizio. Contrariamente a quanto si è abituati a pensare, la cella in cui Bruno venne rinchiuso e dove rimarrà per sette anni era tutt’altro che una segreta buia e inaccessibile, ma era al contrario un luogo abbastanza vivibile, ampio e luminoso, situato al piano terra, dove la biancheria veniva cambiata due volte alla settimana e dove l’imputato poteva usufruire di vari servizi come il barbiere, i bagni, la lavanderia, la rammendatura. A ogni carcerato veniva inoltre fornita una scorta di vestiti e il vitto era di buona qualità includendo, fra l’altro, anche il vino. Nell’autunno del 1593 il processo subì una svolta fatale. Il frate cappuccino Celestino da Verona, suo compagno di carcere a Venezia, forse posseduto da segreta invidia, denunciò Bruno, lanciandogli contro un insieme di accuse gravissime, che in parte confermarono l’impianto accusatorio del Mocenigo, e in parte aggiunsero nuovi capi d’accusa a suo carico. Inoltre Celestino chiamò incausa come testimoni altri quattro compagni di carcere. All’inizio del 1595 i giudici, resi particolarmente prudenti forse dal fatto che solo il Mocenigo era un testimone irreprensibile e incensurato, ordinarono di recuperare il più ampio numero di testi pubblicati da Bruno per poter unire alle prove raccolte attraverso le testimonianze, quelle, irrefutabili, derivanti dai suoi testi. Per due anni il processo languì, essendo il tribunale probabilmente impegnato nella ricerca deilibri del nolano. Nel 1597 Bruno ricevette le censure dei libri dove emergevano con chiarezza alcune sue posizioni eretiche: alcune delle fondamentali tesi della metafisica bruniana ritenute inevidente contrasto con fondamentali aspetti della visione cristiana del mondo: ad esempio il principio per cui da una causa infinita debba derivare un infinito effetto, tesi eretica in quanto implicherebbe un Dio necessitato a produrre un dato effetto e non onnipotente; il moto della Terra. Probabilmente a ridosso di questo momento va collocato l’unico episodio di tortura al quale Bruno fu probabilmente sottoposto. Naturalmente va sottolineato che nei verbali gli inquisitori registravano come tortura anche semplicemente la minaccia di tortura.




Le procedure inquisitoriali prevedevano la tortura, che peraltro era assoggettata a limitazioni e poteva essere autorizzata solo da Roma, in due casi fondamentali: se l’imputato confessava le sue colpe, ma vi era ragione di temere che non avesse detto tutto quanto riguardava la vertenza o nel caso in cui si ostinasse a negare anche di fronte a prove inoppugnabili di colpevolezza. E’ evidente che il caso di Bruno era quest’ultimo. Il caso di Bruno fu del tutto anomalo ed eccezionale nel panorama dei processi inquisitoriali che si distinguevano in genere per la loro rapidità. Poiché il processo era fermo da troppo tempo, 7 anni, il cardinal Bellarmino, che pochi anni dopo sarà grande protagonista nel caso Galileo, propose l’abiura di diverse proposizioni di Bruno sicuramente eretiche. Avvenne in questa fase finale un prolungato gioco di ultimatum da parte dell’Inquisizione e di promesse di abiura, poi smentite da parte di Bruno. Le richieste di udienza con il papa non furono accolte. Con lo scadere dell’ennesimo ultimatum, il papa Clemente VII ordinò di condannarlo come eretico impenitente, ostinato e di consegnarlo alla giustizia secolare per l’esecuzione materiale,


"Ecclesia abhorret a sanguine"!

La sentenza di condanna venne letta l’8 febbraio in Piazza Navona alla presenza di tutta la Congregazione del Sant’Uffizio. Fu un momento altamente drammatico e carico di tensione, secondo una testimonianza, Bruno, che ha ascoltato la sentenza in ginocchio, al termine della lettura si alzò in piedi e con volto minaccioso gridò:

"Forse con maggiore timore pronunciate contro di me la sentenza, di quanto ne provi io nelriceverla!"


Le sue opere vennero bruciate sulla scalinata di Piazza San Pietro ed inserite nell’Indice dei libri proibiti. Bruno rimase sempre coerente con se stesso e fedele alle proprie ragioni, non accettò mai di rinnegare in blocco le sue idee solo perché incompatibili con l’ortodossia cristiana. All'alba di giovedì 17 febbraio 1600 lasciò la prigione di Tor di Nona e venne condotto in processione tra una folla vociante fino a piazza di Campo de' Fiori. Indossava un saio penitenziale, una mordacchia gli impediva di parlare, come diceva un avviso:

"Per le brutissime parole che diceva”.

Salì al rogo con grande coraggio e dignità, venne denudato, legato ad un palo e arso vivo. Una testimonianza racconta che nei suoi ultimi istanti di vita Bruno pronunciò le seguenti parole:

"Et diceva che se ne moriva martire e volentieri, et che se ne sarebbe la sua anima ascesa con quel fumo in paradiso".

Sarà ricordato nei secoli come un martire del libero pensiero e dell'intolleranza religiosa.


fonte: scribd.com e edocsv.blogspot.it
[Modificato da kamo58 23/07/2012 12:13]
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