Cibo e letteratura

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kamo58
00mercoledì 23 novembre 2011 11:18
In una delle pagine più celebri e citate della letteratura, il sapore e il profumo di una madeleine, grazie a un'improvvisa e travolgente sinestesia, riportano alla memoria di Marcel Proust la sua infanzia. Questa sensazione, e la necessità di trasformarla in scrittura, dà origine all'intero ciclo di Alla ricerca del tempo perduto, un romanzo dove le pagine legate al cibo sono assai numerose e intense: basti pensare al ruolo centrale di Francoise, la cuoca della zia Léonie, alla passione per il gelato dell'amata Albertine (e a quella di Odette de Crécy per il cioccolato), o alla straordinaria sinfonia sonora delle grida dei venditori del mercato di Parigi; e alle dettagliate descrizioni del ricevimento in casa di Mme de Villeparisis e del pranzo dalla duchessa di Guermantes (che occupano complessivamente circa la metà della Parte di Guermantes), della serata da Mine Verdurin nella Prigioniera o del ricevimento dalla principessa di Guermantes nel Tempo ritrovato.

La madeleine proustiana, un piccolo dolce morbido in forma di conchiglia inzuppato nel tè, può esemplificare la complessità delle reazioni tra la letteratura e il cibo, ma non è certo un caso isolato: l'alimentazione è un elemento talmente importante e pervasivo nell'esperienza quotidiana, e può avere una tale forza evocativa, che è pressoché impossibile trovare un'opera letteraria che non abbia una qualche relazione con il cibo.

Anche l'altro grande romanzo che apre il Novecento letterario, l'Ulisse di Joyce, inizia illustrando i gusti del protagonista Leopold Bloom, certo assai meno raffinati di quelli di Proust: «Mr Leopold Bloom mangiava con gran gusto le interiora di animali e di volatili. Gli piaceva la spessa minestra di rigaglie, gozzi piccanti, un cuore ripieno arrosto, fette di fegato impanate e fritte, uova di merluzzo fritte. Più di tutto gli piacevano i rognoni di castrato alla griglia che gli lasciavano nel palato un fine gusto d'urina leggermente aromatica».

La simbiosi di parole e sapori non è un frutto della modernità: basti pensare, tra i capolavori della letteratura antica, a un «poema-mondo» come l'Odissea, che illustra ed esemplifica il variegato e complesso rapporto tra letteratura e cibo. Nel corso dei secoli questi intrecci si sono ulteriormente arricchiti, tanto che è possibile immaginare una molteplicità di percorsi di lettura sul tema dell'alimentazione.




Nel Calamaio di Dioniso lo storico della letteratura italiana Pietro Gibellini percorre il «sentiero bacchico» che attraversa la nostra letteratura dal Settecento agli albori del Novecento: Panini assapora e insieme contesta i delicati tokay del Giovin Signore; Verri e Goldoni amano conversare in caffè ben illuminati mentre Porta e Belli, per farsi beffe del Palazzo, si rifugiano in ombrose osterie; un sorprendente Leopardi con il bicchiere in mano si sente libero dall'infausta ragione e forte come gli idoleggiati antichi; Manzoni mesce a Renzo il vino diabolico della rivoluzione e quello benedetto della grazia, Verga offre ai suoi vinti un bicchiere di quel dono divino che può diventare una trappola mortale; se Carducci brinda alla salute di un Satana vitale e progressista, il malinconico Pascoli trova nell'ebbrezza la metafora del vagheggiato oblio.

Viceversa, la letteratura può offrire agli storici utili indicazioni per ricostruire abitudini e gusti di una civiltà, e in generale la cultura materiale di quel contesto. Recuperando magari la dualità tra il crudo e il cotto, sulle tracce dell'antropologo Claude Lévi-Strauss, che ha posto al centro della sua riflessione il fuoco come mediatore tra uomo e natura.
Ma alla confluenza tra parola e gusto si possono inseguire percorsi più curiosi, anche senza arrivare agli estremismi del Manifesto della cucina futurista (1930) in cui Marinetti chiedeva «l'abolizione della pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana», a favore di un'alimentazione più attenta alla chimica. Si possono per esempio catalogare le «ricette d'autore» che i grandi scrittori ci hanno lasciato nei loro capolavori: tra tutte il minuzioso e spassoso «Récipe» del «Risotto patrio» vergato da Carlo Emilio Gadda nelle Meraviglie d'Italia. Un altro itinerario letterario-gastronomico lo offre il tema della fame; partendo dalle fiabe e dalle più celebri maschere della Commedia dell'Arte, Arlecchino e Pulcinella, che trovano la loro energia di personaggi proprio in una fame atavica e mai soddisfatta di cibo e di sesso; al «paese della fame» (raccontato magistralmente da un grande storico della cultura materiale come Piero Camporesi) si potrebbe affiancare la fantasia compensatoria del Paese di Bengodi, o di Cuccagna, dove si ergono montagne di formaggio e maccheroni, mentre nei fiumi scorre il vino. Poi, passando per le travolgenti abboffate del gigante Gargantua nato dalla fantasia di Rabelais, si potrebbe approdare a un capolavoro come Fame di Hamsun e al Digiunatore, protagonista di un frammento di Kafka: «sono costretto a digiunare... perché io non ho mai potuto trovare il cibo che mi piacesse. Se lo avessi trovato, credilo, non avrei fatto tante storie e mi sarei rimpinzato come te e tutti gli altri». A una fame metafisica rimanda anche la misera carota che si dividono Vladimiro ed Estragone di Aspettando Godot di Beckett. Ultima tappa, la moderna alternanza di diete e cibo spazzatura, tra anoressia e bulimia, al centro dell'esilarante Diario di Bridget Jones (1998) di Helen Fielding, o come metafora del disagio interiore e della fame esistenziale, della Biografia della fame (2004) di Amélie Nothomb.

Si potrebbero elencare i libri costruiti intorno a un pranzo, dal Simposio di Platone al Satyricon di Petronio, con le cinquanta portate (circa) della cena di Trimalcione, dal Pranzo di Babette di Karen Blixen (in Capricci del destino), al testo teatrale di José Bergamin Los naufragos (che ha ispirato il film di Luís Bunuel, L'angelo sterminatore), a Trappola per topi di Agatha Christie. I drammaturghi prediligono i banchetti di nozze, soprattutto in atti unici come Le nozze di Cechov, La cimice di Majakovskij o Le nozze piccolo borghesi di Brecht. La sontuosità delle tavole ricche genera virtuosismi descrittivi e preziosità barocche nelle pagine del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa e dei Buddenbrook di Mann.





In alternativa, si possono inseguire i cuochi e gli osti protagonisti di testi teatrali e di romanzi: il Falstaff di Shakespeare (e di Verdi) e la Locandiera di Goldoni (anche autore di una Bottega del caffè); la signora Kazu che gestisce un ristorante a Tokyo in Dopo il banchetto di Mishima; e le anticonformiste Ruth e Idgie, la coppia al femminile che gestisce un piccolo bar-ristorante nel profondo sud degli Stati Uniti in Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop (1987) di Fannie Flagg. Alla categoria si potrebbe iscrivere anche la Madre Courage di Brecht, la vivandiera al seguito degli eserciti nella Guerra dei Trent'Anni che vede morire i suoi figli uno dopo l'altro.

Tra assassini e dissoluti i buongustai sono dunque molti. Ma non sono da meno i loro eterni avversari: risultano infatti sorprendentemente numerosi i detective patiti della buona cucina, dal Maigret di Simenon al Nero Wolfe di Rex Stout, dal Pepe Carvalho di Manuel Vazquez Montalbàn al commissario Montalbano di Andrea Camilleri. Le loro indagini vengono spesso inframmezzate da gustosi manicaretti (di cui a volte si può leggere – e dunque preparare – anche la ricetta, assaporando così le stesse sensazioni dell'eroe).
I romanzi con il detective buongustaio sono diventati quasi un «sottogenere» letterario, e rischia di diventarlo anche il filone dei «romanzi golosi» o «gastronomici», ovvero i testi narrativi con ricette, o più in generale quelli che affidano al palato un ruolo centrale.

Autorevole precursore del genere, pur trattandosi di un libro di memorie, può essere considerato Il libro di cucina di Alice B. Toklas (1954), dove l'autrice racconta le vicende dei personaggi famosi che gravitavano attorno alla vita di Gertrude Stein e alla propria, e descrive le eleganti cene che lei e il loro cuoco preparavano per gli ospiti (nel 2003 Monique Truong ha centrato il suo romanzo Il libro del sale sul personaggio del cuoco indocinese della Toklas).

Negli ultimi anni numerosi autori – anzi, più spesso le autrici – hanno saputo coniugare il piacere della lettura con l'evocazione di piatti appetitosi. Un capostipite è senz'altro Donna Flor e i suoi due mariti di Amado (1966), seguito da Dolce come il cioccolato (1989) della messicana Laura Esquivel, ovvero Romanzo piccante in 12 puntate con ricette, amori e rimedi casalinghi (come recita il sottotitolo), in cui i due giovani protagonisti, non potendo consumare il loro amore, comunicano la loro sensualità attraverso i manicaretti che lei gli prepara; dal Cile le fa eco Isabel Allende con Afrodita, ovvero Racconti, ricette e altri afrodisiaci (1997). La forza comunicativa e simbolica del cibo è anche al centro di diversi romanzi di Joanne Harris, fin dai titoli: Chocolat (il cui successo ha ispirato vari libri sul «cibo degli dei»), Vino, patate e mele rosse, Cinque quarti d'arancia... In Gola, di John Lanchester, il protagonista Tarquin Winot, un gourmet inglese, nel corso di un viaggio gastronomico attraverso la Francia intreccia sapori e autobiografia, rivelando ai lettori la propria inquietante personalità.
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