Curiosità sulla cucina giapponese

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kamo58
00giovedì 22 settembre 2011 09:59
II concetto che più esprime il Giappone è l'estetica del cibo che mira alla perfezione unita alla massima semplicità. La preparazione degli alimenti tiene presenti due regole, cotture brevi e grassi assenti, applicate per conservare intatto il sapore e assicurare la digeribilità.

La dieta dei primi abitanti del territorio giapponese si basava sui vegetali, sul pesce, e in minima parte sulla carne. Nel 400 a.C. venne introdotta la coltivazione del riso che da allora è diventato un alimento di base di questa cucina (terzi produttori al mondo). Il buddismo arrivò nell’arcipelago nel 538 d.C. proveniente dal continente asiatico e, assieme allo scintoismo, la religione autoctona del Giappone, ne diventò il credo maggioritario.
Il profondo rispetto buddista per tutte le forme di vita si manifestò con un decreto imperiale del VII sec. d.C. che proibiva di mangiare la carne di animali, sebbene fosse permesso il consumo di pesce e frutti di mare.
Durante molti secoli la cultura giapponese ha risentito dell’influneza del potente impero cinese, al quale deve non solo l’uso della scrittura ma anche piatti come il ramen (spaghetti in brodo) o lo yakisoba (spaghetti fritti con verdura). Tra il XVII e la metà del XIX sec. il Giappone attraversò un periodo d’isolamento, che venne concluso con la rivoluzione del 1868, con la quale si iniziò l’occidentalizzazione di tutta la società. Risale a quella data l’annullamento della proibizione di mangiare la carne.

Oggi i giapponesi consumano prodotti molto freschi e di stagione, sopratutto pesce e verdure. Diffuso è il consumo di pollame, ma l'agnello è quasi assente. Quanto agli ortaggi, i più comuni sono carote, rape, germogli di legumi, mentre in qualche villaggio di montagna si ha la fortuna di poter assaggiare una vera prelibatezza, i germogli di felce. In Giappone, tagliatelle e spaghettini, fatti con frumento, grano saraceno o amidi estratti da alcune piante, sono un cibo popolare, offerto come le ciotole di minestra agli angoli di strada.
Essenziali per condire: le alghe, la salsa di soia, lo zenzero, e una discreta quantità di altre salse, dolci o piccanti come la wasabi (rafano verde).

I giapponesi sono un popolo sobrio e molto delicato, ed è questa sensibilità ad inibire l'uso a tavola di strumenti come la forchetta e il coltello, imponendo i bastoncini, i cui colori possono essere diversi a seconda del cibo degustato. In un pasto giapponese non esiste una regola di successione, i piatti sono portati tutti insieme affinché sia il commensale a scegliere. Perciò a differenza della cucina occidentale, dove i piatti vengono catalogati per ordine di presentazione, in Giappone le pietanze si distinguono secondo il metodo di cottura. Yakimono si riferisce agli alimenti cotti alla piastra; mushimono cotti al vapore; agemono sono le fritture; nagamono cibi crudi; nabemono prodotti cotti in pentola; shirumono le minestre, aemono le insalate.

Mentre la scienza occidentale afferma che il palato riconosce quattro sapori base (dolce, salato, acido, amaro), nella cucina orientale e sopratutto in quella giapponese se ne aggiunge tradizionalmente un quinto: l'umami. Questo sapore è a metà tra il piccante e lo speziato, si può trovare all'incirca in 40 sostanze, delle quali la più nota è il glutammato monosodico, esaltatore del sapore combinato abitualmente con il sale.
I cuochi giapponesi sono veri maestri dell'arte del tagliare gli alimenti, data la grande importanza attribuita alla presentazione dei piatti. Inoltre utilizzando le bacchette per mangiare è fondamentale che i cibi siano serviti già spezzettati. Sono ben 13 i diversi stili di taglio: nel sakura si imitano le forme di un fiore, nel sagakagi si presenta il cibo a forma di spirale continua, o nel matsuba giri si creano alimenti a forma di ago di pino.

Preparazioni tradizionali sono il sushi, il sashimi (pesce crudo sfilettato), il tempura (verdura e gamberi impanati). Non esiste in Giappone il concetto di dessert come in Occidente: niente torte, budini, crostate, pochissima la frutta, presentata sulla tavola sempre assieme a tutte le altre pietanza.


La cerimonia del tè

All'inizio del IX sec. i viaggiatori giapponesi in Cina portarono in patria la passione del tè. Inizialmente la bevanda era consumata quasi esclusivamente dai monaci buddisti, per mantenersi svegli nei lunghi periodi di meditazione. Dal XII sec. il tè si diffuse anche al di fuori dei monasteri, ed i giapponesi decodificarono così una vera e propria cerimonia, che non metteva l'enfasi sull'aroma e il sapore della bevanda, ma sulla ritualità della sua preparazione e del suo servizio.
Secondo queste tradizioni medioevali, in Giappone la cerimonia del tè si svolge in una piccola stanza, sufficiente solo ad ospitare circa sei persone.
L'antica ritualità è basata su principi semplici: un senso molto raffinato di naturale bellezza deve apparire in ogni dettaglio, dalle maniere degli ospiti, alle tazze, agli utensili per preparare il tè. Quest'ultimo, servito assieme a dolci tradizionali giapponesi, è una bevanda piuttosto densa e leggermente amara, preparata con foglie giovani ridotte in polvere. Nel Giappone moderno, sono soprattutto le donne a praticare tale cerimonia, che rappresenta una specie di training per affinare l'etichetta prima del matrimonio. Nel giappone feudale essa era in genere praticata da soli uomini, appartenenti sopratutto alla casta dei guerrieri, per calmare la mente prima di prendere una decisione importante o di affrontare una battaglia.
Il maneggiare oggetti belli e di valore nella cerimonia del te, aiuta a concentrarsi sulla punta delle dita. Le tazze sono fatte in molti stili, e vengono scelte in relazione alla stagione. L'etichetta richiede di maneggiarle e di apprezzarle stando molto bassi, quasi al livello del pavimento, per rispettare il loro grande valore.
La palettina per il te é di bambù intagliato, con una curvatura snodata nel centro; non possiede una parte concava come nei cucchiai, si dovrà quindi aver cura di non fare cadere la fine polvere del te nel servirsene. Anche la scopetta é di bambù, formata da molte strisce sottili piegate a mò di spazzola. Il te versato nella tazza é in piccola quantità, ma bisogna fare attenzione a non grattare la scopetta sul fondo: essa deve toccare appena la tazza, leggera come una piuma. Si deve aggiungere la giusta quantità di acqua, solo per tre o quattro sorsi, in modo da fare sciogliere tutto il te senza lasciare grumi; la salvietta deve essere piegata e spiegata con grazia e controllo. Anche la scatoletta del te, può essere un'opera d'arte e viene utilizzata per contenere il te solamente durante la cerimonia, normalmente il te viene conservato in un recipiente a chiusura ermetica.
In un stanza tipica per la cerimonia del te, il braciere è collocato nella parte rientrante del pavimento, la posizione del papiro é una questione di raffinato giudizio estetico. Quando si estende la cura a tutti gli oggetti che concorrono alla preparazione del te, il suo gusto migliora naturalmente; ma la maggior responsabilità di chi esegue la cerimonia è di far concentrare la mente di tutti i presenti sulla bellezza e la grazia del coordinamento di mente e corpo.

da taccuini storici
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