Il cappello del cuoco

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kamo58
00mercoledì 4 maggio 2011 20:35
Il berretto da cuoco, “toque blanche”, è il simbolo della professione culinaria in tutto il mondo. Alfred Suzanne, illustre cuoco dell'ottocento, racconta che il termine "toque" non era gradito ai suoi colleghi dell'epoca, i quali non volevano dare al proprio cappello, cioè all'insegna classica della corporazione, lo stesso nome dato al copricapo dei professori universitari. Suzanne diceva che sarebbe stato più logico chiamarlo "couvre-chef" giocando sulla parola chef, che indica sia un capo in generale, sia colui che dirige la cucina. Ma sempre secondo Suzanne, si deve a Careme , l'idea di adottare per i cuochi questo particolare tipo di berretto. Nel 1823, quand’egli era ancora in servizio alla Corte di Giorgio IV d’Inghilterra, scorse un copricapo del genere in testa ad un praticante legale e subito il suo senso estetico e il suo amore per l’igiene ne furono colpiti. Fu lui stesso ad adottarlo nella versione bianca per sé e per i propri collaboratori. Si racconta abbia affermato che, sostituendo la cuffia di cotone (tipo il berretto da notte dei nostri nonni), copricapo comune a tutti i cuochi, si sarebbe dato loro un aspetto più importante e di maggior prestigio. Caréme non era soltanto un grande cuoco, ma anche un autentico opinion leader, ecco perché subito furono in tanti ad imitarlo. Prima dell'adozione della "toque" i copricapi dei cuochi variavano da nazione a nazione: gli inglesi ne adottavano uno di stile scozzese, gli spagnoli un berretto di lana bianca che corrispondeva a quello dei toreri, i tedeschi uno simile ad un copricapo militare. Curiose erano le considerazioni che un tempo veniva fatte sul modo di calzare la "toque", tanto da classificare il carattere di uno chef a seconda del modo in cui si sistemava il berretto.
Colui, per esempio, che era solito portarlo leggermente gonfio e pendente all’indietro, era quasi sempre un uomo autoritario, aggressivo e collerico. Lo chef che posava spavaldamente la toque inclinata su una parte dell’orecchio, era ritenuto uno spaccone e uno che si dava eccessive arie. Il berretto inamidato e con la parte pieghettata piuttosto alta, era adottato dai cuochi bassotti che cercavano così d'innalzarsi di fronte ai sottoposti.
kamo58
00mercoledì 4 maggio 2011 20:37
Le uniformi in cucina
L’uniforme professionale dei cuochi, capisala e camerieri obbedisce tutt’oggi a un codice cromatico rigidamente imperniato sul bianco e sul nero. Prima dell’Ottocento, così come risulta da molteplici testimonianze, regnava fra le persone di servizio una diversità di colori e fogge.
Gli scalchi vestivano con un’eleganza degna dell’ambiente aristocratico in cui operavano. Nelle cucine cuochi e sottocuochi portavano il grembiule bianco, rimboccandosi le maniche e tenendo la testa coperta da cappelli e berretti. Solo gli addetti alle mansioni più umili, come i lavapiatti, operavano a capo scoperto e senza camicia. Ai vari addetti la preparazione dei piatti e del servizio era di norma raccomandato il color scuro, con abiti che s’ispiravano non ad un codice professionale unico, ma ai criteri di gusto della Corte dove operavano.
Lo scalco presentava l’eleganza di un gentiluomo, il trinciante si cingeva della spada, il credenziere addetto a fornire la parte più golosa del pasto (antipasti, insalate, confetture e frutta), seguiva la moda. Lo scalco aveva diritto in principio alla barba, ai baffi e, dalla seconda metà del ‘600 alla parrucca, mentre i subalterni dovevano preferibilmente essere rasi, come attestano le incisioni dello Scappi.
Insomma quanto più le mansioni erano direttive, tanto più si adottava uno stile cavalleresco, ma questo non impediva che le rispettive funzioni comportassero delle insegne di mestiere.
Per esempio, il trinciante addetto al taglio delle carni durante il servizio a tavola metteva un tovagliolo piegato per il lungo sopra la spalla sinistra (uso che sopravviverà alla scomparsa di questa figura, dall’Ottocento fino ai giorni nostri, nel tovagliolo posto sotto l’ascella e sull’avambraccio dei camerieri).
L’introduzione di un abbigliamento dallo stile cromatico rigido imposto a tutti, bianco in cucina e bianco-nero in sala, fu il frutto della nuova funzione dell’abito professionale dell’Ottocento.
Essa era ispirata da imperativi d’igiene e di cerimoniale. Il bianco, dalla giacca del cuoco alla tovaglia, alle stoviglie designava la pulizia impeccabile che doveva saltare all’occhio. Il nero lo portavano solo coloro che servivano con la precisa intenzione di incarnare un’eleganza compassata.
Con l’imporsi di questa rigida bicromia si voleva anche rafforzare l’aspetto militaresco della gestione ristorativa. I cuochi avevano giacche bianche con doppio petto e due lunghe file di bottoni, ridisegnate proprio a partire dalle giubbe dell’esercito, e portavano alla cintola il fodero di un coltellaccio, segno cruento dell’arte. Il personale di sala indossava la marsina con cravatta bianca, e solo il primo cameriere aveva il diritto a portare quella nera, simbolo assimilabile allo “scuro” come grado più elevato.

da taccuini storici
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