La dieta del monaco buddista

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kamo58
00martedì 22 febbraio 2011 08:46
Il buddismo è una filosofia interessante, ma molto complessa e soprattutto “esotica”, cioè appartenente ad un contesto culturale diverso dal nostro. Come tutte le culture esotiche esercita un particolare fascino su noi Occidentali razionalisti e consumisti, ma buttandocisi a capofitto senza un approccio adeguato, si rischia di farsene un’idea troppo superficiale candendo nella banalità o, ancor peggio, nel fanatismo. E il fanatismo porta addirittura all’inappellabile negazione dell’evidenza e della ragione: per alcuni i monaci buddisti sono vegetariani e basta.

Capisco che ci si possa far trasportare dal carisma spirituale del buddismo, esaltandone gli aspetti più affascinanti, ma purtroppo spesso accade che la realtà sia molto meno romantica di come la dipingiamo. No, i monaci buddisti non sono necessariamente vegetariani.

E’ vero: uno dei precetti fondamentali del buddismo è “non uccidere alcuna forma di vita”, e molti leggono in questo l’implicazione per cui i buddisti non dovrebbero mangiare carne di animali. I testi buddisti sono unanimi nel sostenere che essere vegetariani è un’ottima cosa per un buddista, ma non un obbligo. Del resto il buddismo è la filosofia della moderazione, dove viene data importanza, più che all’azione in sè, alla motivazione che vi è dietro. Buddha stesso ha precisato che è la condotta immorale a rendere impura una persona, non il cibo che mangia. Il Bhudda storico viveva di elemosina, lasciando che la sua ciotola si riempisse di ciò che veniva offerto dai fedeli. E se capitava in mezzo anche della carne, egli di certo non la rifiutava.

Ma allora la carne si mangia o no nei monasteri? In molti monasteri giapponesi e coreani e in quasi tutti i monasteri in Cina, la carne non si mangia. In molti monasteri in Tibet, Nepal e India ivece sì. Considerando il fatto che l’elemosina è una delle regole monastiche nel buddhismo Mahayana, cioè i monaci devono mangiare ciò che viene loro offerto, esistono tre regole fondamentali per il consumo della carne: si può mangiare se: 1) è offerta spontaneamente e non espressamente richiesta dal monaco; 2) la bestia non è stata uccisa appositamente per il monaco; 3) la bestia non è stata uccisa appositamente per le offerte.

La scelta di proibire o meno il consumo di carne in un monastero è (e dovrebbe essere) dettata da motivazioni, personali o collettive, che vanno oltre il semplice dogma religioso. Come un po’ ovunque nel mondo, la dieta è influenzata dalla disponibilità di cibo. Pensate ad esempio al Tibet: un altopiano a 4000 metri di quota, con un clima proibitivo ed una popolazione seminomade la cui economia è basata sulla pastorizia. Come farebbero i poveri monaci del Tibet ad essere vegetariani in un paese dove in pratica non cresce la verdura? No, i monaci dell’Himalaya non sono vegetariani: l’unico cereale che cresce in abbondanza è l’orzo, ma per il resto dipendono dai pochi animali che i pastori allevano: capre, polli e yak. No, essere vegetariani è un lusso che non tutti si possono permettere.

In sintesi: il monaco può mangiare la carne a patto che l’animale non sia stato ucciso apposta per lui. Molti obiettano che “non uccidere ma lasciare che altri lo facciano per noi è una squallida ipocrisia e non ha senso dal punto di vista etico”. Ora, lasciando perdere il fatto la questione non può essere liquidata con un approccio così superficiale, dato che vi sono questioni sia storiche che dottrinali che hanno determinato tale usanza millenaria; ma soprattutto, di quale etica stiamo parlando? Della nostra, o della loro?
Il filosofo Fernando Savater è un fermo sostenitore del fatto che non esiste un’etica al di sopra della cornice culturale di riferimento, cioè che non esiste nulla di universalmente giusto o sbagliato, e comunque in tutte le religioni bisogna sempre rapportare i dogmi alle necessità pratiche quotidiane. Il compromesso è necessario per i fedeli di qualsiasi religione.

Cosa mangiano, dunque, questi monaci? La carne viene consumata con moderazione, solitamente nei giorni di festa o per celebrazioni particolari. Mentre in Indocina i monaci mangiano una sola volta al giorno il cibo che hanno recuperato attraverso l’elemosina, in India e nei paesi trans-himalayani il vettovagliamento è più organizzato. Ogni monastero ha una cucina dove solitamente si preparano due pasti: uno al mattino presto e l’altro al pomeriggio.

Mentre nei piccoli monasteri sull’Himalaya i monaci si radunano in refettorio, dove il cibo uscito dalle cucine (principalmente tsampa, riso, patate e un po’ di verdura) viene consumato assieme e in silenzio, nei grandi monasteri come quelli che ci sono a Dharamsala o nelle riserve dello stato del Karnataka, in India, le cucine servono ai monaci due razioni di cibo quotidiane molto semplici. I monaci si mettono in fila all’ora prestabilita e ricevono solitamente due o tre forme di pane, una ciotola di riso e un po’ di carne (tipo curry). I religiosi poi portano il cibo nella loro cella per consumarlo quando preferiscono durante il corso della giornata. Nel corso delle celebrazioni invece i monaci consumano il cibo direttamente nel gompa, la sala di preghiera, tra la recitazione di un mantra e l’altra.

Estratto da Thais blog.com


Momo

I "Momo" costituiscono uno dei piatti più famosi della cucina nepalese e tibetana. Possono essere cotti al vapore anziché fritti, e realizzati con ripieni a base di carne di agnello o di pollo.

INGREDIENTI

Per il ripieno:

1 patata
2 cipolle
30 g zenzero fresco
200 g funghi champignon giganti
100 g parmigiano grattugiato
1 cucchiaino di coriandolo fresco tritato
1 cucchiaio di salsa di soya

Per la pasta:

200 g farina 00
100 ml acqua tiepida

Per la salsa:

1 spicchio d'aglio
100 g polpa di pomodoro
1 cucchiaino di semi di coriandolo tritati
1 cucchiaino di paprika

Utensili indispensabili:
- robot da cucina oppure mezzaluna e tagliere
- macchina per stendere la pasta (è sufficiente un mattarello, se siete piuttosto abili)

PREPARAZIONE

Sbucciare la patata, tagliarla a cubetti e lessarla in acqua salata.

Pelare la radice di zenzero, quindi unirla alle cipolle e tritare tutto con la mezzaluna o il robot da cucina. Soffriggere in un tegame capiente con 3 cucchiai di olio per circa 10 minuti.

Nel frattempo pulire i funghi e affettarli, quindi porli nel tegame, coprire e far cuocere a fiamma bassa per altri 10 minuti. Mentre i funghi cuociono, preparare l'impasto.

Mettere la farina a fontana su un piano di lavoro, quindi versare a poco a poco l'acqua tiepida. Impastare fino a ottenere un composto omogeneo e morbido.

Quando la patata è cotta, scolarla, quindi schiacciarla grossolanamente con una forchetta e unirla ai funghi, mescolare bene e togliere dal fuoco. Aggiungere il coriandolo tritato, la salsa di soya e il parmigiano grattugiato.

Preparate una salsa soffriggendo lo spicchio d'aglio in un cucchiaio d'olio.

Versate la polpa di pomodoro, la paprika e il coriandolo, e fate restringere per una decina di minuti.

Per stendere la pasta è consigliato l'uso della macchina per la pasta fresca, in modo che la sfoglia sia di spessore uniforme.

Dividere la pasta in due. Fare passare ogni pezzo una prima volta tra i rulli, ad ampiezza massima (circa mezzo centimetro), quindi piegarlo in due e farlo passare nuovamente tra i rulli. Ripetere altre due volte.

Selezionare uno spessore intermedio (2-3 mm), e passare la pasta una sola volta.

Ripetere per la pasta rimanente. Ricavare dei dischi di 12 cm di diametro con una formina.

Porre una cucchiaiata di ripieno al centro di un cerchio di pasta. Piegare a metà e pizzicare insieme le estremità del raviolo, dandogli una forma a mezza luna, quindi procedere con un altro raviolo.

È molto importante che la pasta rimanga umida.

Se i bordi dei ravioli iniziano a non attaccarsi più, bagnarli con poche gocce d'acqua. Porre i ravioli pronti su un ripiano spolverizzato con abbondante farina.

Friggere i ravioli in olio caldo, rigirandoli dopo un paio di minuti.

Servire caldi accompagnati dalla salsa piccante.
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