Le virtù" teramane"

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kamo58
00venerdì 29 aprile 2011 15:41
tra gastronomia, leggenda e tradizione popolare

Pazienza, laboriosità, attenzione. Ecco gli ingredienti insostituibili per preparare le Virtù, piatto principe della cucina teramana e protagonista da generazioni di ogni tavola imbandita per celebrare il primo maggio. Le Virtù sono un tripudio di sapori: piselli, fave, fagioli, ceci, lenticchie, carote, zucchine, patate, bietole, indivia, cavolo, lattuga, verza, cavolfiore, cicoria, spinaci, finocchio, rape, aglio, cipolla, erbe ed erbette aromatiche, prosciutto, cotiche, pallottine di carne, pasta secca e all’uovo. Il tutto condito da un pizzico di magia. Alcune leggende popolari legano alla preparazione di questo piatto il numero sette: sette sono infatti le virtù cristiane ma anche sette i tipi di verdure, sette tipi di legumi, sette aromi, sette tipi di pasta, il tutto lavorato da sette vergini e cotto per sette ore. Sette proprio come le pietanze che si consumano nel tradizionale cenone della vigilia di Natale, o in omaggio all’altrettanto tradizionale pasto della trebbiatura. L’alone magico che avvolge la tradizione delle virtù può forse stupirci o lasciarci perplessi ma ci restituisce l’atmosfera nella quale questa specialità ha preso la sua forma. I tempi, i gesti e gli ingredienti di questo piatto affondano le radici in un mondo contadino quasi scomparso, che forse è ancora possibile scorgere nei paesini della provincia abruzzese e sui volti degli anziani che lì ancora abitano. Le Virtù non sono solo quindi il piatto per eccellenza della tradizione culinaria teramana ma piuttosto un rito. Definirle semplicemente minestra, pietanza o minestrone non è riduttivo ma addirittura blasfemo. Le loro origini si perdono nella notte dei tempi: ne parla addirittura Poggio Bracciolini che riferisce come questo piatto fosse molto noto a Roma dove si consumava il primo di maggio ed era chiamato con lo stesso nome, Virtù, con il quale poi è stato “adottato” nella tradizione teramana. In provincia se ne contendono la primogenitura la vallata del Fino e la zona del Tronto mentre addirittura gli abitanti delle zone costiere di Giulianova e Roseto degli Abruzzi rivendicano tra i suoi ingredienti anche il pesce dell’Adriatico. Le Virtù hanno di certo sempre segnato l’arrivo della bella stagione e la volontà di lasciarsi l’inverno alle spalle: il 30 aprile, giorno considerato spartiacque tra un ciclo agrario e l’altro, le massaie usavano ripulire le madie da tutti gli avanzi, di legumi secchi e dei vari tipi di pasta che durante la stagione fredda si spezzava, e per economizzare univano il tutto con le primizie che già la nuova stagione aveva iniziato a produrre in abbondanza negli orti. L’addio all’inverno per il mondo contadino non era un gesto qualsiasi ma un rito quasi liberatorio, significava lasciarsi alle spalle il freddo, le intemperie, la sterilità della terra, gli stenti e a volte la fame. Con entusiasmo si accoglieva dunque l’arrivo della primavera, il germogliare del grano e il ritorno al duro lavoro nei campi, di nuovo fecondi. La prima ritualità celebrata con le Virtù è dunque quella del cambio di stagione, un passaggio incarnato dall’intreccio dei sapori della stagione appena finita con quelli della stagione nascente, per augurare l’abbondanza dei nuovi raccolti. Così prendeva vita questo rito gastronomico, sinonimo di gioia e convivialità, vissuto dalle massaie con la parsimonia nell’utilizzo dei semplici prodotti della terra e con la pazienza per la loro lenta preparazione. Ogni singolo ingrediente veniva fatto cuocere in un tegame, separatamente dagli altri, poi si procedeva alla cottura della pasta e all’amalgama finale, frutto di un lavoro certosino e delicato. La quantità e le dosi degli ingredienti stavano all’esperienza e al colpo d’occhio delle massaie che non dovevano abbondare nelle dosi delle varie verdure, per evitare che l’armonia dei sapori delle virtù, potesse essere confusa con un comune minestrone. Ma oltre a rappresentare un piacere per il palato, le Virtù sono soprattutto un rito di condivisione: nessuna famiglia le prepara solo per il proprio piacere, sono un piatto fatto per essere cucinato in abbondanza e poi donato a vicini, parenti o semplici conoscenti e fatto oggetto di invito e di incontro. Da qui nasce la tradizione del “pentolino”, con il quale le Virtù venivano portate in dono o scambiate e con esso viaggiavano anche l’abilità e la bravura delle massaie. Guai a dimenticare il pentolino promesso ad un amico: per un piatto di Virtù si può rompere un’amicizia o addirittura incrinare un fidanzamento.
Ma le Virtù non erano un piacere concesso solo a parenti ed amici: anticamente se ne preparavano enormi pentoloni che venivano distribuiti anche ai più poveri e indigenti nei paesi. E oggi cosa rimane di tanta virtù? La tradizione viene rinnovata il primo maggio in tutta la provincia teramana, e non solo. Dai campi le Virtù sono addirittura finite sul web: Wikipedia, l’ormai famosa enciclopedia on-line, dedica una delle sue pagine alla storia e alla ricetta del piatto principe del primo maggio teramano. Ristoranti, agriturismi e gastronomie ne cucinano grandi quantità per soddisfare le richieste dei golosi del piatto. Nelle case che ospitano ancora la pazienza e l’antica ricetta il rito delle Virtù si ripete. Nonostante non esistano più dispense da svuotare, stagioni da salutare e raccolti abbondanti da augurare.

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