S. Giuseppe nelle tradizioni culinarie

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kamo58
00giovedì 15 marzo 2012 17:16
San Giuseppe, santo polivalente, protettore della famiglia e dei falegnami, ma anche dei poveri e degli orfani, in Sicilia viene festeggiato con una speciale ritualità che intreccia, mirabilmente, sacro e profano. La sera del 19 di marzo, in moltissimi centri dell’isola, i fedeli allestiscono le cosiddette “cene” o “tavolate” di San Giuseppe. Un’usanza che risale alla devozionalità medievale, quando, a partecipare alle “cene” erano tre poveri della comunità, nella personificazione della Sacra Famiglia. Ad allestire le tavolate erano le famiglie benestanti che offrivano gratuitamente il cibo, in segno di devozione a San Giuseppe. Con il passare del tempo, questi banchetti si sono andati estendendo a tutta la comunità locale, tanto da divenire un importante momento di devozionalità comunitaria. Al contempo, lo spazio conviviale si è andato arricchendo scenograficamente, fino a diventare, come nel caso di Salemi, un vero e proprio boccascena barocco, in cui risaltano trionfi di pani, artisticamente decorati, coronati di rami di alloro e di mirto. Le tavole, trasformate in veri e propri altari votivi, traboccano di cibarie, di frutta, di dolci. Su tutto spicca il cosiddetto “cucciddatu”, un pane a forma di stella che i fedeli donano al Bambin Gesù, impersonato da un orfanello. Mentre, “a’ parma”, un pane intagliato a forma di palma (in ricordo della palma da datteri che nutrì la Sacra Famiglia durante la fuga in Egitto), è offerto alla Madonna, incarnata da una donna povera del paese. Infine, “u’ vastuni”, un pane forgiato in forma di bastone fiorito, è dedicato a San Giuseppe.
Oltre a questi pani devozionali, nelle “cene” siciliane compaiono una miriade di altri pani dalle forme più svariate che si rifanno sia alla mitologia cristiana, come i “jadduzzi”, i galletti di San Pietro, che alla tradizione pagana (fiori, pesci, uccelli, astri celesti).

La principale espressione gastronomica della devozione popolare verso i Santi sono i dolci. A suon di dolci si vuole festeggiare San Giuseppe che è il santo delle frittelle, perché come assicura una voce di popolo, di secondo mestiere faceva il friggitore. Le frittelle possono essere dolci o salate. Fra le prime emergono i crespeddi siciliani, farciti di ricotta e di filetti d’acciuga, fra le seconde molto rappresentative sono le zeppole campane. Nella classica versione napoletana, appaiono: modellate a ciambellina, arrotolate, fatte con impasto di farina bianca ben lavorata, zucchero e un po’ di liquore. Si friggono nell’olio oppure si possono cuocere al forno, per poi ancora calde, imbiancarle con zucchero a velo. Le zeppole pugliesi invece sono più ridondanti, per l’aggiunta delle uova e per il sistema della doppia frittura. In Umbria le frittelle le fanno di riso e in Toscana le creano rosolate nell’olio in una versione che unisca: riso, latte, farina, uova, zucchero. Troneggiano poi, preparati sopratutto nel Lazio e un po’ ovunque in Italia, i bigné di San Giuseppe, ricchi di burro e volendo ripieni di crema.


da taccuini storici

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bignè di S. Giuseppe

Sfince di S. Giuseppe

Zeppole napoletane di S. Giuseppe
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