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LA PADANIA
11 ottobre 2005

Pubblichiamo il testo integrale dell’intervista esclusiva che il leader leghista Umberto Bossi ha rilasciato alla Televisione Svizzera in lingua italiana (Tsi) in onda questa sera alle ore 19.30. Nel lungo faccia a faccia con il giornalista Claudio Moschin, Bossi affronta i temi più scottanti dell’agenda politica: dalla moneta unica alla Turchia; dal suo rapporto con il premier Berlusconi fino alla riforma federalista. Senza dimenticare lo sport, con Alinghi la barca svizzero-padana per cui fa il tifo...
L’intervista al leader della Lega Nord Umberto Bossi andrà in onda questa sera alle ore 19.30 sulla Tsi (Televisione svizzera italiana) all’interno della trasmissione “Buonasera” condotta da Eugenio Jelmini.



INTERVISTA ESCLUSIVA A BOSSI DELLA TV SVIZZERA
«Addio televisioni italiane Troppo romanocentriche»

Senatore Bossi, parliamo subito dell’euro, e dei problemi che l’euro sembra dare alla gente, ogni giorno...
«L’euro è stato disastroso perché non hanno previsto, quando hanno fatto l’euro, di tenere la doppia moneta, in maniera che la gente capisse il valore vero dell’euro. Invece la gente si è trovata da un giorno all’altro con la moneta completamente diversa, e non capiva più niente. Quindi, andava al bar e lì lasciava, magari, 10 euro di mancia, che valeva molto di più delle dieci mila lire di una volta. Diciamo che la faccenda dell’euro, prima ancora di dire se l’idea fosse buona o cattiva, non è stata gestita bene. Poi, essendo la moneta circolante all’interno dell’Europa, l’euro non difende i nostri prodotti, le nostre imprese. E, quindi, siamo invasi dalle industrie cinesi e da quelle del Sudest asiatico. Se non c’è qualcuno che mette un limite, qui le fabbriche chiudono. Siamo molto preoccupati. In un’area di 20 km da Varese ci sono tante aziende, di solito piccole perché le grosse ormai non esistono più; ma anche le grosse che resistono stanno chiudendo, e perciò c’è una preoccupazione enorme per questa situazione. Vede, noi siamo gente come gli svizzeri, destinati a lavorare. Non è che possiamo mandare le nostre famiglie a vivere sotto i ponti. Siamo destinati a lavorare, a mantenere la casa, la famiglia. E in tutto questo l’euro, alla fine, non ci ha aiutati.... Io credo che la moneta sia lo strumento della propria libertà. Perché fin quando ce l’hai tu, puoi intervenire: magari anche per mettere dei dazi. Ma puoi trovare sempre una linea di difesa. Nel momento in cui invece cedi la moneta agli altri, se questi altri non ti aiutano, se non mantengono la parola data, allora i rischi sono altissimi. Noi stiamo scontando proprio questa conseguenza».
Se l’euro è il primo “dolore”, che mi dice del secondo, cioè della Turchia che entrerà nella comunità europea?
«Io non ho mai sentito dire che la Turchia è Europa... Adesso dicono che è Europa? Vabbè... Ogni giorno se ne scopre una nuova. La Turchia non è mai stata in Europa. Io penso che la storia non sia acqua. Diciamoci la verità. La Lombardia e il Veneto sono sempre stati il baluardo contro il mondo musulmano, in particolare la Turchia. Quando i turchi aveva circondato Vienna, ed erano stati già avvelenati tutti i pozzi della città, arrivò quella che è passata alla storia come la cavalleria padana, e questa sconfisse l’esercito turco. E salvò, non solo Vienna, ma anche l’Europa. Salvando Vienna salvò la religione cattolica, perché, nel progetto, l’esercito turco voleva arrivare ad abbeverare i cavalli nelle fontane di San Pietro, a Roma. Noi abbiamo la nostra storia. E sono convinto che non valga mai la pena di buttare via questa storia. I turchi sono portatori di una religione diversa, di una cultura diversa. Io sono cauto a fare certi cambiamenti...».
Che mi dice della politica italiana? Insomma, non è che la gente ci capisca molto, presa com’è con i suoi problemi veri, quotidiani...
«Adesso, per la prima volta dopo tanti anni, si comincia a vedere la possibilità di fare il federalismo, che è un bel salto in avanti. Di anni luce. Certo, la devoluzione... non è ancora passata... fino all’ultimo momento è meglio stare calmi a parlare. Però l’accordo fatto con Berlusconi è sulla devoluzione, sul federalismo. Se passasse sarebbe un bel cambiamento, notevole, perché da Paese centralista l’Italia diventerebbe un Paese federalista, più democratico. Io spero, e dico spero cautamente, che questo Paese vada verso le riforme. È così che noi lo stiamo guidando. Non è stato facile, perché tutti si presentano come portatori di cambiamento. Ma, quando arriva il momento, poi cercano di non cambiare affatto. Io spero che questa volta ce la si possa fare. E se si fa la devoluzione, poi facciamo una bella festa... E veniamo in Svizzera a fare un banchetto».
Nel 1984 lei fu tra i fondatori, da un notaio di Varese, della Lega Lombarda... poi Lega Nord. Senatore, dopo 21 anni, è cambiato qualcosa in lei o nelle sue idee?
«Io ci credevo allora nel cambiamento. Partii dal federalismo perché la Lombardia ha una storia federalista. Carlo Cattaneo fu l’uomo che trasmise il concetto di federalismo ai posteri. Qui in Lombardia c’è sempre stata l’autonomia comunale, quella stessa autonomia che poi ci ha consentito di unire le forze e di combattere contro il Barbarossa, e alla fine anche di vincere. Qui la classe politica, e anche la classe economica, sono sempre stati federalisti. Sono sempre stati autonomisti e federalisti. Ogni Paese ha la sua storia, noi ne abbiamo una che racconta di autonomismo, di federalismo e di libertà. Qui abbiamo gente che fa il lavoro autonomo ma che è anche larga di cuore...».
Senatore Bossi, una volta la Dc era un grandissimo partito, ma poi si è dissolto in un lampo. Lo stesso è capitato per il Psi, partito grande, dissolto pure lui...
«Li ha fatti scomparire la Lega!!!».
Però adesso lei mi deve dire dove sarà, e come sarà, la Lega fra 10 anni?
La Lega sarà sempre qui e, magari, sarà andata anche più avanti. Chi investe nel cambiamento resta nel cuore della gente, e nella necessità della società. Il federalismo non è mica una mania mia, di Bossi, o della Lega. È una necessità di questa società. Se la Lega resterà in linea con il federalismo e col cambiamento, sarà utile alla nostra regione. A Varese, a Como, a Milano...».
Parliamo di televisione. Una volta lei mi disse che guardava sempre la Tsi, la televisione svizzera di lingua italiana. Per lei era un modello di televisione. Oggi la pensa ancora così? E la guarda sempre?
«La Tsi non arriva più dove abito io e in altre zone. Altrimenti... la guar- derebbero tutti! La Tsi per molti era un appuntamento, la gente vedeva certi pro- grammi che sulle tv ita- liane non si vedevano. Per esempio il teatro dialettale, o i programmi d’informazione. Qui la guardavano perché la lingua è uguale. Fra Ticino e Lombardia la lingua è una sola!».
Lei, due settimane orsono, ha spezzato una lancia in favore proprio della Tsi. Cosa può fare di concreto Umberto Bossi?
«Posso muovermi anche a Roma, conoscendo un po’ di persone... posso parlarne. Posso fare sentire le ragioni di coloro che stavano così bene con la Tsi. Se poi si deve trovare lo strumento che faciliti i rapporti, lo sviluppo fra Ticino e Nord Italia, lo strumento c’è già, è la Tsi. Questo è quello che penso io. Inutile spaccarsi la testa: la Tsi è lo strumento».
Però la Regione Lombardia sembra ignorare il problema... come mai?
«Questo non so dirglielo. Non conosco i motivi. Posso pensare che Milano sia un po’ distante rispetto, per esempio, a Varese. E poi si sa, i milanesi hanno un po’ la puzza sotto il naso... Guardi, io sono nato qui, e qui tutti seguivano la Tsi. Parlo di gente vera...».
Lei vedrebbe la Tsi come tv veramente transfrontaliera?
«Mi sembra lo strumento giusto per le esigenze di questa area... appunto transfrontaliera».
Senatore, mi dica sinceramente: cosa non le piace delle tv italiane?
«Sono romanocentriche al massimo. Così come il sistema politico. Se non è una cosa romana, non va bene... sa, qui siamo un po’ lontani da Roma, mille km forse, e quindi dobbiamo cominciare a guardare in casa nostra prima di tutto, cioè la nostra cultura, la nostra tradizione. Come area di confine da Roma abbiamo solo un’attenzione... pari a zero! Più è lontana la tv, più è difficile che capisca i nostri bisogni».
Senatore, la sua malattia l’ha tenuta lontano per mesi e mesi dalla scena. Chi si è ricordato di lei in questo periodo?
«Berlusconi è venuto a trovami parecchie volte. Mi ha detto che l’inizio della mia malattia ha segnato la fine del suo Governo. Mi ha fatto piacere ma... non ero così importante. Però è venuto sempre a confermarmi la sua amicizia».
In questi mesi di malattia e poi di recupero, quale è stato il suo pensiero più ricorrente?
«... Che facevo fatica a recuperare. Che recuperavo a metà... È difficile recuperare. Anche adesso, tra braccio e gamba, la parte colpita non è certo a posto. Occorre tempo. Occorre impegnarsi. Non è una cosa semplice. Ma io devo recuperare perché devo fare ancora tante cose. Quelle che ho in testa io. Queste cose però passano prima per il recupero fisico»
Lei è stato curato in Svizzera, anzi in Ticino, prima a Brissago poi al Civico di Lugano: cosa dice a quelli che l’hanno assistita?
«Grazie, davvero. Al primario di Brissago poi dico che gli voglio tanto bene. È una bravissima persona, ma oltre che essere uno bravo è anche uno che ha capito che, per guarire bene la gente, occorre che la gente si senta curata bene. E allora guarisce prima. Io ho toccato con mano questa cosa».
Senatore Bossi, quando lei era malato ha ricevuto molte attestazioni di solidarietà umana, anche da avversari politici. Qualcuno, invece, non si è visto né sentito, e anzi torna a fare dell’ironia pesante. Lei che dice a queste persone?
«Non ci faccio caso. Meglio scherzare sulla mia malattia che drammatizzare. Io ho avuto una vita positiva, moglie e figli, tanti figli, una bella famiglia, e, quindi, essendo stato fortunato, certe cose non mi umiliano mai. Mi fanno sorridere, e che qualcuno parli male di me è normale. In politica sono uno che rompe le scatole, che da sempre sta col federalismo, con la voglia di cambiare il Paese, sono uno che non ha mai mollato. Il mondo politico è pieno di gente che dice una cosa e poi in Parlamento ne fa un’altra... Posso capire che qualcuno ce l’abbia con me. Sono quelli che non vogliono cambiare... Vabbè.... Ma io non ce l’ho con loro, perché sono stato troppo fortunato nella mia vita».
La butto sullo sport per finire: lei una volta andava in barca a vela... è vero che segue le regate della Coppa America? Per chi tifa?
«In Lombardia e nel Veneto pare che la maggior parte delle persone, come me, facciano il tifo per Alinghi. Qui la chiamano la barca svizzero-padana».
Scusi senatore, ma le piace Alinghi perché è svizzera o perché vince sempre?
«Beh, non è una cosa da poco che Alinghi vinca sempre! Ma va bene che sia una barca svizzero-padana. Qui la Svizzera è molto stimata. Non solo all’interno della Lega ma in generale qui la gente parla sempre bene della Svizzera. In Lombardia e nel Veneto gli svizzeri sono incredibilmente stimati».



STORIA DI UNA EMITTENTE ALTERNATIVA
Tsi, da sempre una voce libera

Giovanni Polli
Nei primissimi anni ’70 c’era un solo modo per sfuggire dalla Rai rimanendo comunque incollati al piccolo schermo: sintonizzarsi sulla Televisione della Svizzera Italiana (Tsi). Un’emittente relativamente piccola rispetto ai colossi europei, ma davvero alternativa. Uno stile televisivo e giornalistico del tutto opposto a quello dell’allora monopolio pubblico televisivo italiano. E, soprattutto, svincolato dalle liturgie politiche e culturali nostrane. Un occhio televisivo davvero indipendente capace di mettere in discussione l’unica realtà ufficiale che ci era concesso di conoscere. Al punto che gli studi ticinesi ospitarono come conduttori anche celebri e bravi personaggi per vari motivi “caduti in disgrazia” nella tv italiana, tra cui i milanesi Enzo Tortora e Walter Valdi.


PRIMA DI NOI ANCHE PER IL COLORE
“Vedere la Svizzera”, come si diceva a quei tempi, era però un lusso riservato a pochi: in primo luogo a quanti, nelle zone frontaliere, ricevevano il segnale direttamente dai ripetitori installati nella Confederazione. Ma anche allontanandosi dalla linea di frontera, alcuni consorzi di rivenditori di apparecchi televisivi e di installatori di antenne avevano provveduto a installare ripetitori più o meno abusivi della Tsi in territorio italiano. Il motivo più immediato era semplice: da noi la Rai trasmetteva ancora in bianco e nero (il colore sarebbe arrivato ufficialmente solo nel 1977) mentre i programmi ticinesi erano già a colori ed in molti sarebbero così stati spinti ad acquistare il televisore adatto per poterli ricevere in tutto il loro splendore.


TRA NOSTALGIA E ATTUALITÀ
E così molte trasmissioni “per i più piccoli”, da “Vallo Cavallo” a “Scacciapensieri”, così come il film del sabato sera, sono ancora oggi ricordati con nostalgia dalla generazione che nei ’70 era bambina. E il “Telegiornale - Telejournal - Tagesschau”, preceduto da una sigla asciutta e diretta, nulla a che fare con le pompose sigle dei notiziari del “Programma nazionale” italiano, è ancora oggi preso ad esempio di grande sobrietà giornalistica, una vera boccata d’ossigeno nell’asfittico chiuso delle stanze televisive di Stato di quel periodo.
Soltanto cronache d’altri tempi? Ancora oggi la Tsi, il cui segnale in territorio italiano ha subito alterne vicende (a Milano è in parte ritornata in tempi recenti ma sta per sparire di nuovo, con l’abbandono della tv analogica) rimane per molti telespettatori quello che è sempre stata: un’emittente davvero alternativa alla tv spazzatura che siamo abituati a vedere.
Programmi di approfondimento, documentari, spettacoli e giochi davvero a misura di famiglia, senza l’affanno di quell’“audience” che ha trasformato l’etere italiano in un’arena in cui il peggio rincorre il peggio, in una gara verso il basso che sembra non avere mai fine.
La Tsi, soprattutto, ha sempre dimostrato un’attenzione professionale ed un rispetto profondo verso le realtà culturali locali che dovrebbero essere presi ad esempio di vero federalismo televisivo, specchio fedele di un sistema politico che pone al centro dell’attenzione il cittadino e la sua realtà sociale.


STORIA DI UN VERO SERVIZIO PUBBLICO
Ma quando e come nasce l’emittente televisiva che ancora oggi lascia molti rimpianti tra i telespettatori che non possono più seguirla? «Dopo la nascita della televisione svizzera di lingua tedesca e della rete svizzera di lingua francese - si può leggere sul sito della Rtsi, www.rtsi.ch) - nel 1958 un esiguo gruppo di pionieri ha allestito e diffuso dagli studio televisivi di Zurigo i primi programmi in italiano, varando quella che nel 1961 - con l'inaugurazione degli studi di Lugano - sarebbe diventata la Tsi, Televisione svizzera di lingua italiana». Oggi la Tsi si configura come una delle 4 reti televisive della Società svizzera di radiotelevisione (Ssr). «È un’emittente nazionale, di servizio pubblico», precisa ancora il sito. «Con il 26% di quota di mercato è la televisione più seguita dagli spettatori svizzeri di lingua italiana ed un punto di riferimento alternativo per il pubblico italofono del sud della Germania e del nord Italia».


CI SARÀ UN FUTURO DIGITALE?
Lo scorso 26 settembre si è tenuto a Varese un’incontro della Regio Insubrica in cui, alla presenza di Umberto Bossi, del ministro Roberto Maroni e del presidente della Provincia di Varese Marco Reguzzoni è stato posto il problema del ritorno o della permanenza del segnale dell’emittente ticinese nei nostri territori. Il prossimo anno la Tsi spegnerà i suoi trasmettitori analogici e occorrerà quindi trovare presto una soluzione per quanti rischiano di rimanere orfani di una voce sempre più indispensabile nel momento in cui prendono corpo le organizzazioni di cooperazione transfrontaliera. Sarà quindi proprio quello di una “tv transfrontaliera” digitale il destino della “Tv Svizzera”? È uno degli scenari possibili. L’importante è che questa voce di libertà trovi comunque nuovo spazio nella nostro sistema televisivo del futuro.







INES TABUSSO