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"UN UOMO DIVERSO" CHE CON SOBRIA CIVILTA' PUBBLICA LIBRI E ARTICOLI?



«Avrebbe potuto scappare, come altri. Invece ha preferito espiare»
«Oggi il detenuto di Pisa è senza dubbio un uomo diverso»
"Nel carcere di Pisa vive e lavora un uomo che sta pagando il suo debito verso la giustizia. Lo fa con estrema dignità ormai da anni. Il suo nome è Adriano Sofri e con sobria civiltà pubblica da anni libri e articoli sui maggiori giornali. Le sue riflessioni sul nostro tempo costituiscono un punto di vista impossibile da ignorare".
(Stefano Folli, Corriere della Sera, 15 luglio 2003)




"Lo squadrista Marco Travaglio scrive su Repubblica di ieri una sequela di falsità indegne, allo scopo di galvanizzare l'indignazione pubblica contro l'indulto".
(Adriano Sofri, Il Foglio, 26 luglio 2006)




cfr. LA VIOLENZA VERBALE DI CUI SOPRA CON IL SOFRI IN VERSIONE "ESTREMA DIGNITA" E "SOBRIA CIVILTA'":
freeforumzone.leonardo.it/viewmessaggi.aspx?f=71485&idd=2587




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CORRIERE DELLA SERA
15 luglio 2003
«Avrebbe potuto scappare, come altri. Invece ha preferito espiare»
La grazia ad Adriano Sofri (31 anni dopo)
L'editoriale del direttore del Corriere della Sera Stefano Folli: «Oggi il detenuto di Pisa è senza dubbio un uomo diverso»
di Stefano Folli

MILANO - Nel carcere di Pisa vive e lavora un uomo che sta
pagando il suo debito verso la giustizia. Lo fa con estrema dignità ormai da anni. Il suo nome è Adriano Sofri e con sobria civiltà pubblica da anni libri e articoli sui maggiori giornali. Le sue riflessioni sul nostro tempo costituiscono un punto di vista impossibile da ignorare. Sono testimonianze proposte con attenzione scrupolosa verso la realtà di un Paese decifrato in tutte le sue complessità.

TRAGEDIE D'ITALIA - Forse nessuno come Sofri ha saputo leggere attraverso la tragedia vissuta dalla comunità civile italiana nell'ultimo scorcio del Novecento: il terrorismo, le sue conseguenze, la frattura di una quasi guerra civile che ha rischiato di distruggere la Repubblica. Nessuno come Sofri ha saputo alimentare un dibattito autentico, e non di maniera, sull'identità collettiva e sul destino di due generazioni. Anche per questo, soprattutto per questo, possiamo affermare senza enfasi che Adriano Sofri è oggi uno dei maggiori intellettuali italiani.

DELITTO CALABRESI - Eppure non stiamo parlando di un profeta o di un santo. Al contrario, Sofri è stato condannato in via definitiva come mandante di un delitto odioso e crudele: l'omicidio del commissario di Pubblica Sicurezza Luigi Calabresi, avvenuto a Milano il 17 maggio 1972. Non è il caso qui di riaprire alcun dossier. Basti ricordare che i processi a Sofri ( a lui, a Bompressi e a Pietrostefani) sono stati nel corso degli anni ben otto. E l'iter si è concluso con la conferma delle condanne. La magistratura, dopo vari gradi di giudizio, ha accolto la tesi dell'accusa, sulla base delle prove fornite dagli investigatori. Il fatto che Adriano Sofri si sia costantemente dichiarato innocente, come era suo diritto, non toglie nulla alla verità processuale. Altrettanto rilevante, tuttavia, è la circostanza che Sofri non si è mai sottratto alla pena. Avrebbe potuto farlo con un certo agio, come tanti altri, ma ha preferito espiare.

PRIMA DELLA CONDANNA - In precedenza, prima che la condanna fosse definitiva, ha cercato una propria personale redenzione nell'orrore della Bosnia in guerra e anche di quell'esperienza ha reso una testimonianza in cui si avverte l'eco sofferta della grande cultura europea, con la sua sostanza tollerante e liberale. Pur consapevoli che si tratta di un tema che turba (a ragione) l'opinione pubblica, crediamo sia giunto il momento di affrontare il caso attraverso lo strumento della grazia. Lo scriviamo con il rispetto dovuto alle vittime del terrorismo, alle loro famiglie, ai magistrati e alle forze di polizia. Liberare Sofri non significa dare un tardivo riconoscimento alla tesi innocentista. O incoraggiare il lassismo. O riaprire ferite mai veramente chiuse. Oggi il punto è un altro. Si tratta di prendere atto che il detenuto di Pisa è un uomo diverso, 31 anni dopo l'omicidio Calabresi. Della sua trasformazione ha offerto e offre prove evidenti e quotidiane.

CATTIVO MAESTRO - Se Sofri è stato un cattivo maestro, oggi non lo è più. Lo ha capito buona parte della società italiana, nelle sue espressioni culturali e politiche. Ha ancora un senso tenerlo in carcere? A quale funzione emblematica corrisponde la sua prigionia? Il presidente del Consiglio (che mesi fa ha manifestato con chiarezza il suo pensiero) e il ministro di Grazia e Giustizia possono, se vogliono, rispondere a queste domande. Del resto, l'avvio del semestre europeo è un'occasione propizia per riflettere: lo ha detto un altro personaggio simbolo di una stagione drammatica e lontana, Cohn Bendit, e forse non ha torto. Il presidente della Repubblica ha il potere di firmare il provvedimento di grazia. Ma deve essergli sottoposto dall'autorità di governo. Se quest'ultima decidesse che è ora di compiere tale piccolo passo, non si potrebbe biasimarla.



INES TABUSSO