00 28/04/2012 19:55



Nel 1924, sulla nave ormeggiata di fronte alle luci e ai grattacieli del West Side di New York, Fritz Lang concepì Metropolis (1927), capolavoro indiscusso dell'era del muto. Qualche anno dopo, profondamente colpito da questo film, Adolf Hitler gli propose di dirigere l'industria cinematografica tedesca. Lui rifiutò. Il giorno stesso abbandonò Berlino e si avviò a diventare uno dei più grandi maestri della storia del cinema. Nato a Vienna il 5 dicembre 1890, è l'unico figlio di Anton Lang, affermato architetto, e di Paula Schlesinger, di origine ebrea. Piuttosto che seguire le orme paterne, a 18 anni frequenta i corsi dell'Accademia delle Arti Grafiche e comincia a lavorare come pittore-scenografo in alcuni cabaret della sua città. Subito dopo compie lunghi viaggi per il mondo e si guadagna da vivere dipingendo cartoline e disegnando fumetti per i giornali. Alla scoppio della prima guerra mondiale ritorna in Austria, si arruola nell'esercito imperiale e parte per il fronte. Ferito tre volte in combattimento, durante la convalescenza comincia a scrivere sceneggiature. Nel 1919 esordisce nella regia con Mezzosangue, presto seguito da un feuilleton esotico ad espisodi (I ragni, 1919). In questo periodo conosce la scrittrice e sceneggiatrice Thea von Harbou che sposa l'anno dopo e che resterà sua fedele collaboratrice fino al 1932. Nei primi anni '20 si impone come uno dei registi più originali dell'espressionismo tedesco con film come Il dottor Mabuse (1922) e I Nibelunghi (indue parti: La morte di Sigfrido e La vendetta di Crimilde, 1923-1924). Nel 1931 dirige il suo primo film sonoro, M, il mostro di Düsseldorf, dove, tra ombre inquietanti, palloncini e motivetti fischiettati, insegue le tracce di un maniaco (Peter Lorre) che violenta e uccide bambine. L'anno dopo la moglie aderisce al Partito Nazionalsocialista mentre lui si appresta a realizzare Il testamento del dottor Mabuse (1932), ultimo film girato in Germania. Divorziato dalla von Harbou, si trasferisce ad Hollywood e riscuote subito un grande successo dopo l'uscita di Furia (1935), con Spencer Tracy che, da uomo onesto, rischia il linciaggio come sequestratore di bambine. Colpevoli e/o innocenti, all'interno di un suggestivo gioco di incastri psicologici, resteranno gli indimenticabili protagonisti del suo cinema. Ottenuta la cittadinanza americana, vive per sei mesi in una tribù di indiani Navajos mentre progetta un western, Il vendicatore di Jess il bandito (1940), suo primo film a colori. In pieno secondo conflitto mondiale firma alcune opere dichiaratamente antinaziste, dopo essere stato uno dei fondatori della 'Società contro il nazismo'. Negli Stati Uniti continua a passare da una casa di produzione all'altra finchè, grazie al produttore indipendente Arnold Pressburger, riesce ad ultimare Anche i boia muoiono (1943), co-sceneggiato insieme a Bertolt Brecht. Per tutti gli anni '40 immortala i più grandi divi americani. Come Edward G. Robinson, finito dentro l'incubo noir de La donna del ritratto (1944), con Joan Bennet, sua seconda moglie. Proprio lei è l'eroina ambigua di molti suoi film. Anche la vittima delle macabre ossessioni di Michael Redgrave, tenute nascoste Dietro la porta chiusa (1948). Accusato di aver appoggiato organizzazioni di sinistra, finisce nella lista nera del senatore McCarthy, ma dopo qualche tempo di inattività torna dietro la macchina da presa. Magari per una dark lady al tramonto, la Marlene Dietrich di Rancho Notorius (1952) o per la sfortunata Anne Baxter di una Gardenia Blu (1952), offerta dalla voce vellutata di Nat King Cole. Dopo aver diretto Dana Andrews in Quando la città dorme (1959), lo vuole come protagonista del suo ultimo film, Il diabolico Dottor Mabuse (1960). Muore a Beverly Hills il 2 agosto 1976.

fonte: trovacinema.repubblica.it