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La fava: Cenerentola dei legumi

Ultimo Aggiornamento: 18/04/2012 10:12
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Sesso: Femminile
18/04/2012 10:12
 
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Cenerentola dei legumi e spauracchio dei filosofi. Cibo da poveri e allucinogeno da pensatori. È la fava, la madre di tutte le leguminose, antidoto millenario contro la fame nera dei diseredati di ogni tempo. Dalle polente di fave che ingannavano lo stomaco degli schiavi mediorientali, alla puls fabata dei Romani, fino al macco dei nostri contadini, le fave sono da sempre l´umile ma indispensabile carburante proteico della storia degli ultimi. Ammaccate, pestate, schiacciate proprio come quelli che le mangiavano.

Primi fra tutti i nostri antenati del neolitico che, migliaia d´anni prima di Cristo, facendo di necessità virtù, scoprirono che i legumi sostituivano degnamente la carne. Molti popoli del Mediterraneo, Romani compresi, ci facevano anche il pane. E si deliziavano con gourmandises come le fave novelle grigliate con tutta la buccia che Apicio, il Brillat Savarin dell´antichità, consigliava di condire con il mitico garum.

Né più né meno di quello che fanno adesso certi grandi chef che dal baccello della fava estraggono le sette bontà esaltandone la verde rusticità con la sofisticata profondità della colatura di alici. Il classico colpo di bacchetta magica che trasforma Cenerentola in una regina. E la fava in una favola.

Una leccornia da far resuscitare i morti. E non solo in senso metaforico. Perché le fave, grazie al loro vitalissimo humus, erano considerate simbolo di ciò che va e viene dalla terra, dell´eterno ritorno della vegetazione. Connesse con il mondo degli inferi, ma anche con quello della natura che rifiorisce a primavera. Nei riti stagionali, infatti, venivano offerte fave a divinità dei passaggi come l´enigmatica Tacita Muta che nella Roma antica rappresentava il ciclo annuale della semina e del raccolto, l´alternanza tra la vita e la morte.

Per le stesse ragioni Pitagora, il più nutrizionista dei filosofi e il più filosofo dei nutrizionisti, le vietava a sé e ai suoi discepoli. Il bulbo cavo della pianta, secondo l´inventore delle tabelline, avrebbe consentito alle anime dei defunti di risalire sulla terra nascondendosi nei baccelli. E forse è proprio per questo che ancora oggi nel Triveneto e in altre regioni italiane il 2 novembre si mangiano dei dolcetti di pasta di mandorla chiamati favette dei morti.

Oltretutto i pitagorici erano convinti che le fave provocassero incubi e visioni. Sulle loro proprietà allucinogene, oltre che afrodisiache, era pronto a scommettere anche il sobrio Platone, sempre un po' diffidente verso ogni forma di sballo.

Un cibo tanto simbolico da diventare un talismano, per gli antichi come per i moderni. È dal Medioevo che in Francia si prepara un dolce che ha una fava nascosta nell´impasto. Fortunato chi la trova. Così vuole la tradizione. Ancora oggi i ricettari francesi raccomandano di far scivolare furtivamente nella torta una fava secca.

C´è chi invece la preferisce di finissima porcellana. E Stohrer, il più antico pasticciere di Parigi, nella sua superba bordelaise ce la mette addirittura d´oro. Naturalmente solo su richiesta e per i clienti vip.
Quelli abituati a prendere due piccioni con una fava.


Marino Niola - Espresso/Repubblica food
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